Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Traduzione visiva dei principi surrealisti, Bunuel rappresenta un quadro sociale d'insieme con pochi elementi e ne descrive caratteristiche e soprattutto contraddizioni. La giovane Viridiana (Silvia Pinal) sta per diventare una suora di clausura, riceve un invito dal suo unico parente, per lei quasi sconosciuto, lo zio Don Jaime (Ferdinando Rey) che prima tenta di sedurla, poi si suicida lasciandole una parte di eredità. Viridiana lascia i voti religiosi per dedicarsi alla protezione e al recupero di disperati di ogni risma, si stabilisce nella villa dello zio che aveva un figlio, Jorge (Francisco Rabal), e che tornato nella casa paterna cerca anche lui di sedurre la ragazza. In un momento di assenza dei nuovi padroni, il gruppo dei poveri entra nella casa e ne prendono possesso con una festa orgiastica. Vengono sorpresi e Viridiana sfugge al tentativo di violenza da parte di uno di loro, ma procedendo a grandi passi verso una trasformazione ( o forse alla sua umanizzazione) fisica e spirituale si unirà nella scena finale a Jorge e alla domestica per un presumibile futuro connubio collettivo. Il parlato è secco e definitivo, le immagini dense di richiami e di collegamenti simbolici. Lo zio rappresenta l'impotenza della aristocrazia e la sua crisi di fronte alla nuova classe borghese emergente, incarnata da Viridiana che dall'apparente aspetto da suorina, quando si spoglia e libera i capelli si trasforma fisicamente e spiritualmente. Viridiana è la chiave di lettura del film, del suo snodarsi attraverso passaggi di conoscenza e di riconoscenza nei valori pre acquisiti, nella formazione personale e nell'oscurantismo delle tradizioni: il ritmo travolgente dell'epoca storica richiederà in lei nuove interpretazioni. Così Viridiana abbandona le vesti religiose, per indossare il nuovo collante sociale e moderno, aperto verso i meno abbienti, sempre più abbagliati dalla morale corrente ma in fondo lasciati sempre più alla deriva. Dalla psicologia freudiana Bunuel traduce lo sviluppo delle sue storie, anche se in Veridiana la traccia narrativa è molto meno instabile che in altri film, la orchestra con il cosidetto automatismo psichico, riflesso incondizionatamente libero delle pulsioni comprese quelle sessuali, così alcuni aspetti del film restano volutamente senza spiegazione ma che producono nell'insieme quello che per i surrealisti è il gesto artistico. Bunuel ci mette filosofia, misticismo, socialismo, feticismo, realtà, inconscio, desiderio e morte, alla fine ci troviamo anche i loro contrari, tutto in un ottica stralunata, creativa e dissacrante che ne sottolinea la genialità e la forza innovatrice. Vincitore a Cannes nel 1961, censurato a lungo in Spagna e osteggiato dal Vaticano.
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