Regia di Gabriel Clarke, John McKenna vedi scheda film
Bello, ricco e maledetto, nel 1970 Steve McQueen sfrutta il suo potere contrattuale per interpretare e produrre Le 24 ore di Le Mans, opera controversa, manomessa e irrisolta sulla più celebre delle corse automobilistiche. Flop destinato allo status di cult, specie per gli amanti dei motori. La recente scoperta di moltissimo girato inedito anima la realizzazione di questo documentario, fluviale e visivamente ispirato, al netto di alcune cadute di tono. In costante bilico tra scintillio digitale e grana della pellicola, realtà e ricostruzione, passato e presente, il lavoro di Gabriel Clarke e John McKenna sceglie (abusandone) il tono dell’elegia per raccontare un uomo magnetico e irrequieto, ossessionato dal sogno di portare al cinema l’esperienza e il brivido della corsa: Le 24 ore di Le Mans era un film senza sceneggiatura, qualcosa di maggiormente simile al più costoso documentario mai realizzato, piuttosto che a un’opera hollywoodiana interpretata da una star osannata. Un fallimento professionale e umano a cui viene romanticamente attribuita la successiva disillusione di McQueen, la sua perdita dell’innocenza. Ma se il fuoricampo racconta mirabilmente un individuo, e soprattutto un’epoca avventata e pericolosa, il discorso sull’eterna tensione del cinema ad aspirare alla “verità” diventa paradossalmente il maggior limite di un film che preferisce sempre l’affabulazione e l’epica all’evocato primato del reale.
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