Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Tre storie criminali, in cui la delinquenza non è un’abitudine alla trasgressione, né la reazione all’assenza di prospettive concrete; è, invece, l’unica, contorta strada che consenta di muoversi all’interno di un universo individuale circoscritto, chiuso entro i confini strettissimi dell’orizzonte del facile guadagno e del rapido successo personale. La sconfitta dei vinti è l’aprioristica rinuncia alla lotta, intesa sia come confronto con il prossimo (di cui si vogliono, tutt’al più, sfruttare le debolezze), sia come sfida contro i propri limiti e gli scogli creati dal destino. Per combattere occorrono lealtà, coraggio e determinazione; per uccidere basta la giusta dose di cinismo. Il secondo conflitto mondiale, che ha accompagnato la crescita dei giovani protagonisti di queste macabre vicende, è un esempio della conquista perseguita a suon di soprusi e tradimenti, in una battaglia furiosa e violenta nella quale ogni mezzo è lecito, mentre il fragore degli scoppi, dei proclami retorici e delle fanfare trionfali è ben più forte del gemito di un’umanità morente. L’eredità raccolta dai figli della guerra è un’avidità smaniosa che induce al disprezzo, che spinge a guardare lontano ignorando tutto quanto è vicino. Così la loro “eroica” marcia verso un remoto miraggio di vittoria non può che iniziare calpestando tutto ciò che li circonda. Le radici non sono, per loro, un vincolo affettivo, bensì un ostacolo alla libertà di crescere e all’arrogante ed irriconoscente pretesa di poter dire, un giorno, di avere ed essere solo ciò che essi hanno ottenuto con le proprie forze.
Michelangelo Antonioni realizza un’analisi sociale a cui sembra voler assistere col distacco di un osservatore esterno ed imparziale, che guarda con lo stesso occhio le vittime e i carnefici, perché ovunque c’è il male dell’indifferenza, e ovunque l’attenuante della paura, dell’incoscienza o della necessità.
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