Regia di Roar Uthaug vedi scheda film
Film non senza momenti suggestivi, ma privo del coraggio necessario a renderlo innovativo nel genere "disaster".
The Wave è un tentativo norvegese di film catastrofico. Sebbene non sia un tentativo catastrofico di film norvegese, l’operazione non è del tutto riuscita.
I film catastrofici si suddividono invariabilmente (per scelta consapevole, non per legge di natura) in tre fasi: il prima, il durante, il dopo. Cioè la Minaccia, la Catastrofe, la Salvazione. Attendiamo da decenni un coraggioso che provi a scambiare quest’ordine logico-cronologico, ma per ora non è dato. Quindi esaminiamo l’ennesima trattazione canonica.
La Minaccia.
Il contesto topografico del film (un fiordo) rende la minaccia completamente programmata, nelle modalità e negli effetti (contrariamente alla SADE di Vajont, i burocrati norvegesi non imbrogliano sui dati). La certezza sulle conseguenze non toglie un grammo di suspense al “prima”, come una spada di Damocle che sta lì e la vedi e lo sai. Tutta la fase di avvicinamento al mostro dormiente – esattamente come in Dante’s Peak – è resa con buona dose di tensione progressiva, benché per nulla originale: il solito scienziato-genio etc. etc., le solite dinamiche familiari etc. etc., i soliti colleghi etc. etc. …
Lo spettatore è quindi preparato e in attesa di vedere la famosa Onda (Wave, appunto) e non aspetta altro (‘che altrimenti il film si sarebbe chiamato Vacanze ai fiordi). Ecco: l’attesa non è noiosa come altrove. Ci si impratichisce con le relazioni tra i personaggi, la topografia dei luoghi, il relativo esotismo di una Norvegia in cui sono tutti biondi e politicamente correttissimi, calmi ed educati, piacenti senza sconfinare nella bellezza ostentata. Gli alberghi hanno le tendine ben stirate, le bombole antincendio manutenute, autobus per turisti in perfetto orario.
La Catastrofe.
La montagna a un certo punto si spacca come di dovere e produce la tanto attesa onda. Quest’ultima è resa per benino nella sua risalita del fiordo, fino alla curva che la presenta in faccia al paesello e all’albergo con le tendine stirate. Disastro totale, gente che - avvertita con i 10 minuti previsti di preavviso - cerca di scappare fino a raggiungere la quota (non un metro più, non uno meno) di salvezza. Tutto molto norvegese, programmato fin quanto è possibile. Anche questa parte del film non è sgradevole e per chi – come me – ha paura dell’acqua l’effetto “mamma mia, arriva lo tsunami!” è commisurato alle attese. Fin qui ci siamo abbastanza.
La Salvazione.
Ma ecco che il plot comincia a scricchiolare, perché il film ci dimostra che gli abitanti dei fiordi non sono meno eroici, fortunati e dotati di super-poteri degli omologhi a stelle e strisce. L’albergo è sepolto sotto 10 metri di fanghiglia? Non c’è problema, una via si trova sempre. La panic room è invasa dall’acqua? Beh, prima di tutto rendiamo l’acqua trasparente (il fango? sparito!), così che il geologo che evidentemente è anche campione mondiale di immersione e trattenimento del respiro possa salvare i suoi cari. Guidati da un radar genetico, tutti si ritrovano magicamente all’appuntamento dei cinque secondi che li separano dalla morte. L’unica a morire è l’amica di famiglia, vittima dell’unico norvegese distratto che si dimentica di mettere il freno a mano all’auto. Rispetto a tutto questo, lo spettatore manifesta giustamente il senso di nausea tipico del “già visto 1000 volte”.
Vi devo davvero dire come finisce? Vi devo davvero raccontare che si ritrovano tutti in coppa al monte (zona di sicurezza), stretti in un abbraccio collettivo in cui anche le tensioni generazionali si sciolgono come neve al sole? No, non ve lo racconto: lo prevedevate già.
Appunto: prevedibile. Peccato.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta