Regia di Stig Björkman vedi scheda film
Tendenza tipica di molta cinematografia contemporanea, il filone della biografia delle star, spesso abusato, raggiunge una delle sue vette assolute grazie all’emozionante ritratto di Ingrid Bergman veicolato dall’occhio personale e coinvolgente di Stig Bjorkman, già autore di un celebrato documentario sull’altro Bergman, Ingmar. Il valore aggiunto sta nell’utilizzo dei filmini familiari diretti dall’attrice nell’arco dell’intera esistenza, nonché delle più consuete lettere alle amiche e delle interviste a “chi la conosceva bene”. Che in questo caso sono i quattro figli, più una nipote acquisita e due attrici con cui è stata in scena (Liv Ullman e Sigourney Weaver).
A colpi di elegantissimo montaggio associativo, sostenuto dalle toccanti musiche di Michael Nyman, è venuto fuori un bellissimo profilo mai agiografico in cui emergono tre elementi: una vita felicemente e caparbiamente immolata al cinema, tra Hitchcok che le insegna a recitare prescindendo dalla vita e Renoir che la spinge al divertimento fino all’incontro definitivo con Ingmar; una vita che riesce a sopravvivere al dolore perfetto (madre morta di parto, padre amatissimo morto quand’era decenne) nell’esercizio devoto delle passioni paterne per continuarle spiritualmente (la passione per l’eternare le cose in foto e filmini); una vita attraversata dall’incommensurabile affetto dei figli, compresa la trascurata primogenita.
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