Regia di Cesc Gay vedi scheda film
Parlando del senso dell’amicizia senza sbagliare nulla, senza cadere nel ridicolo, per giunta toccando il cuore senza commuovere eccessivamente, può essere un’impresa titanica, diciamo quasi impossibile. Invece cosa succede quando si assiste a questo film? Che quel miracolo avviene, come un incanto.
Parlando del senso dell’amicizia, quella vera, quella inossidabile e resistente al tempo e ai litigi, si rischia facilmente di scrivere un trattato sulla retorica. Oppure di dire cose banalissime, tipo quelle che compaiono sulle bacheche dei social network. Parlando del senso dell’amicizia senza sbagliare nulla, senza cadere nel ridicolo, per giunta toccando il cuore senza commuovere eccessivamente, allora diventa un’impresa titanica, diciamo quasi impossibile. Invece cosa succede quando si assiste a questo film? Che quel miracolo avviene, come un incanto. Cesc Gay, un regista e sceneggiatore catalano poco conosciuto da noi, si affaccia sugli schermi italici con questa opera sorprendente che sta ricevendo successo solo per merito del passaparola, in quanto non fa parte di quella schiera di film tanto pubblicizzati e sponsorizzati.
Il gran merito va alla sceneggiatura scritta a quattro mani con il suo fedelissimo e concittadino Tomàs Aragay, con cui ha realizzato quasi tutti gli script dei suoi sette film. Una sceneggiatura che non cede mai il passo al sentimentalismo, alla retorica, ai dialoghi monotonamente rituali che si ripetono gli amici cosiddetti per la pelle e che anzi perfino nei momenti più drammatici della narrazione è scritta con dialoghi pungenti, sferzanti, fatti di sfottò e battute al veleno, ma pronunciati con affettuoso stimolo dell’uno verso l’altro. L’uno e l’altro, Julián e Tomás, due amici veri che la vita ha diviso tra due continenti: il primo a Madrid, il secondo a Ottawa, ma la grave malattia incurabile del primo ha spinto Tomás ad affrontare un lungo viaggio in aereo per salutare l’amico fidato e trascorrere in maniera intensa quattro giorni all’insegna della spensieratezza, e beninteso solo con i soldi di Tomás, che in Canada ha una vita piuttosto agiata e che per l’amico ha portato un portafoglio piuttosto pingue, ben conoscendo le magre finanze di Julián che tira avanti recitando in teatro.
Parallelamente il regista sviluppa un discorso che riguarda l’eutanasia, il morire felicemente quando si decide in maniera autonoma, ma è un elemento solo collaterale, anche se pesante e drammatico, in quanto è oggetto di diversi colloqui tra i due ma su cui il regista non pigia eccessivamente l’acceleratore. Il perno principale rimane il forte rapporto tra i due amici e i quattro fatidici giorni da godere senza problemi, senza porre limiti di spesa.
Scherzosamente ingannevole è il titolo, in quanto Truman è il grosso e vecchio cane su cui Julián, ormai separato dalla moglie, riversa tutto il suo affetto e con cui divide la vita e l’appartamento. Di certo il fedele animale – che si può considerare ampiamente il terzo protagonista del film - è un amico per sempre ma il film è incentrato sul forte e resistente rapporto tra i due uomini, che nonostante qualche attimo di nervosismo e incomprensione hanno una sintonia che è più forte delle avversità, della lontananza e della notevole differenza di carattere (sono in realtà complementari, in fondo, l’ideale per una coppia affiatata). Ma rapporto mai compassionevole per la malattia di Julián, mai inutilmente enfatico: i due sono ormai in grado di guardarsi dritto negli occhi, affilare i fioretti per le schermaglie dialettiche, ma di capirsi immediatamente e di scambiarsi come sempre l’affetto più che fraterno. In uno di questi frangenti – sempre simpatici e spigolosi – c’è la frase che più esprime il profondo senso della vera amicizia, perché, come afferma Julián, Tomás è uno “Che non chiedi mai niente in cambio”. Niente in cambio. Proprio come succede con un fedele amico a quattro zampe chiamato Truman.
L’amicizia è tutta lì e per scriverne sono proprio io che ne sto parlando retoricamente, al contrario di come è riuscito il bravissimo Cesc Gay: ci si commuove appena il giusto, anche meno, e si sorride in diversi momenti. L’unico difetto a mio parere è che i 118 minuti possono risultare un po’ tanti ma non ne farei un problema. L’unica scena veramente superflua è l’intermezzo sessuale che forse serve solo a rinverdire i bei tempi giovanili. L’elogio va anche ai due spettacolari attori. Ricardo Darín e Javier Cámara perché sono perfetti oltre che simpatici, e senza nulla togliere alla bravura di Cámara, la presenza di Ricardo Darín è una garanzia di recitazione precisa e inappuntabile, come sempre. Il tutto condito da una meravigliosa musica di solo chitarra che riempie la sala di bellezza e armonia, merito dei due musicisti Nico Cota e Toti Soler.
Il voto giusto, non potendo giocare con le nostre stellette, è 7 ½.
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