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Regia di Jerzy Skolimowski vedi scheda film

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La recensione su 11 minuti

di Spaggy
10 stelle

Un gruppo di disparati individui, più o meno disperati, si muovono per le strade più moderne di una non meglio specificata città polacca (nella fattispecie, si tratta di Varsavia come ad un occhio attento suggerisce la presenza di piazza Grzybowski). Un’attrice bella ma non molto ferrata in inglese deve presentarsi a un colloquio con un famoso regista americano e il neo marito geloso non è disposto a lasciarla andare da sola. L’appuntamento è fissato per le 17 ma, causa un sonno fin troppo prolungato, il marito si sveglia in ritardo cercando di arrivare nel luogo prefissato prima che sia troppo tardi. Accanto a questa che è la linea principale di 11 minutes si snodano tante altre vicende parallele, tutte raccontate nell’arco temporale che va dalle 17:00 alle 17:11. Per volere del destino o di una ‘presenza’ nel cielo, tutti finiscono per convergere nello stesso punto e nello stesso momento.

Wojciech Mecwaldowski

11 minutes (2015): Wojciech Mecwaldowski

 

Con un uso aggressivo delle immagini e del suono, Skolimowski, classe 1938, si dimostra il più moderno dei registi presenti in concorso alla 72.ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia proponendo un’opera che riflette sul valore (postmoderno) delle immagini e del destino. Sin dal prologo si intuisce come il regista polacco di Essential Killing sia propenso a portare avanti una discussione metacinematografica che ragiona sull’estetica delle immagini: l’uso della camera di uno smartphone, la videocamera di un personal computer, le immagini video di una conversazione trasmessa via Skype e le riprese di una telecamera a circuito chiuso, mostrano tutte le possibili alternative alla macchina da presa, analogica o digitale che sia. In un’epoca dominata da videoamatori che usano il medium per parlare di loro stessi offrendo la loro personale visione degli eventi, Skolimowski priva i suoi personaggi di salvezza, redenzione e normalità, rendendoli vittime del sistema orwelliano di controllo. Laddove chiunque prova a restituire una visione edulcorata di se stesso o si trovi a divenire protagonista di un film anche contro la sua stessa volontà, Skolimowski fissa nell’ineluttabilità del destino e nelle pulsioni umane il motore di ogni evento.

Costantemente ripresi da videocamere sparse in ogni angolo della città e monitorate da un centro di controllo che rende tutti partecipanti a un Grande Fratello virtuale, i protagonisti di 11 minutes vivono la loro quotidianità in maniera disarmante. L’occhio del regista non critica nessuno dei loro comportamenti, sorvolando su situazioni talvolta disarmanti e fuori da ogni logica, insistendo invece su dettagli che tornano sia nel sottolineare la stessa dimensione temporale degli eventi sia per spezzare il ritmo del racconto sempre più vorticoso. Un gruppo di suore che discute sugli hot dog, il venditore degli stessi appena uscito dal carcere per presunti abusi esercitati durante la professione di insegnante ma debole di cuore, un giovane alle prese con una rapina surreale, una ragazza psicologicamente turbata appena mollata dal suo ragazzo, un corriere (della droga) in Kawasaki, una coppia in pausa lavoro che discute su un attore porno, un anziano pittore sotto a un ponte nelle vicinanze di un set cinematografico e una troupe di paramedici, diventano l’emblema di un mondo che tenta di fare della normalità la sua ragione d’essere. Confusi, incerti sul da farsi, aggrappati alle proprie convinzioni, alterati da sostanze stupefacenti o tristemente rassegnati, vivono qui e ora senza la consapevolezza di essere tutti figli di un gioco a loro appena percettibile attraverso una macchia nel cielo che soli in pochi sono in grado di osservare. Per scelta narrativa, di ognuno di essi non si conoscono passato e motivazioni ma solo azioni contingenti ora pregnanti ora banali, immersi in un contesto che mischia nuovo e vecchio, ordine e caos, formalismo e sperimentalismo.

Lisergico e metaforico, 11 minutes si conclude con una delle sequenze più folli del cinema di Skolomowski. Senza fare appello alla sospensione dell’incredulità ma scegliendo la via del verosimile, 11 minutes è simmetrico come il numero 11 stesso del titolo: si apre e si chiude ragionando sull’uso delle immagini, sul flusso continuo di contenuti video, che nella loro esagerazione quantitativa finiscono per annullarsi e fondersi in un formicolio di pixels. Come se gli eventi si fossero persi nel marasma di immagini da cui siamo costantemente tormentati. Come se tutti i video che amiamo condividere su di noi sui social finissero per non raccontare nulla di noi. Immagini che per moltitudine finiscono per privarsi di significato e non fornire più informazioni: non si trasmettono e non si ricevono più messaggi relativi a notizie o nozioni ritenute utili o addirittura indispensabili per l'individuo o la società.

11 minutes (2015): Clip 1 originale - Venezia 2015

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