Regia di Wolf Rilla vedi scheda film
La fantascienza migliore è quella in cui il fenomeno soprannaturale non è, semplicemente, il contenuto di un sogno avveniristico o di un incubo apocalittico, bensì entra a far parte della storia dell’uomo, proseguendone le conquiste ed ampliandone le conoscenze e, magari, cambiandone il destino in maniera rivoluzionaria. Le creature protagoniste di questo film rappresentano ciò che noi uomini vorremmo, ma non potremo mai essere: uniti, eterni, geneticamente perfetti e infinitamente potenti. L’effettiva irraggiungibilità di questa condizione, insieme col suo evidente stridore con la disordinata molteplicità degli individui reali, bastano già a determinare, in questo film, l’elemento terrificante e grottesco, che il genere sci-fi ha sempre preso in prestito dall’horror. Concettualmente orribile è qui l’invincibile e sconfinata malvagità incarnata in bambini dall’aspetto angelico, con occhi fulgidi e capelli color platino. Nella loro fluorescente purezza, queste creature, più che ad extraterrestri, fanno pensare ad un micidiale distillato di poteri umani, decontaminati dalle scorie delle emozioni e dei sentimenti morali, e quindi concentrati in un penetrante fascio di luce, illuminante e tagliente come un raggio laser. Il bianco e nero di Wolf Rilla esalta l’incisività di un confronto, interamente espresso sul piano intellettuale, tra un gruppo di esseri sconosciuti, portatori di una fisicità ideale e trascendente, ed un’umanità costretta ad affinare gli strumenti del pensiero razionale e dell’indagine scientifica per far fronte ad una repentina e sconvolgente novità. Il risveglio dal blackout che addormenta, per alcune ore, l’intero villaggio di Midwich, è il metaforico invito a ridestare una ragione ed un’intraprendenza messe indebitamente a riposo da una popolazione adagiata sulle tranquille abitudini della campagna, da ufficiali delle forze armate ancorati alle faccende di ordinaria amministrazione, da scienziati dediti alla lettura e da medici addetti ai malanni di stagione. Il misterioso sonno calato su una regione ben delimitata costringe a infrangere l’incantesimo del quieto vivere per mettere mano ad apparecchi di misura e rilevamento, sfoderare attrezzature per le analisi di laboratorio, e, soprattutto, rispolverare una geografia fatta di numeri, di latitudini e longitudini, di confini tracciati con precisione sul terreno. La mente che, nella normale vita quotidiana, è la sede riservata della nostra libertà di avventatezza o di pigrizia, il luogo deputato all’approssimazione, all’incompleta elaborazione degli stimoli, diventa qui, per i super-bambini dotati di facoltà telepatiche, un facile terreno di conquista, che, in quanto tale, deve quindi inventare sofisticati stratagemmi per difendersi. L’affascinante idea di fondo - che tanto piacerà, più tardi, a George A. Romero e a John Carpenter – è quella di una lotta epocale, ma splendidamente impari, combattuta da comuni mortali del presente, colti di sorpresa da esseri dalle caratteristiche eccezionali, di cui si fatica a ricostruire l’origine e la natura.
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