Regia di Giorgio Amato vedi scheda film
Le amicizie che contano. L’imprenditore Franco Lucci deve organizzare una vera e propria “ultima cena”, quella che gli potrà aprire le porte per avviare un progetto edilizio ambizioso dal quale dipende la sorte, da tempo in bilico verso la bancarotta, del suo gruppo immobiliare.
Per questo l’unica via da sfruttare è quella di utilizzare l’amicizia col ministro della Repubblica, invitarlo a cena nel suo bell’appartamento e fargli trascorrere la serata più distensiva che l’uomo di potere ricordi. Peccato che quel fesso del suo socio (nonché fratello di sua moglie) abbia “perso per strada” la escort che avrebbe dovuto allietare la notte al ministro, e che quella che lo sostituisce presenti caratteristiche, fisiche e caratteriali, che non lo convincono del tutto.
Il regista Giorgio Amato, specializzato in horror e mockumentary a bassissimo costo, cambia completamente genere e dirige bene e con una certa scioltezza da esperto, una commedia di costume tipicamente all’italiana, carica di personaggi sopra le righe, scientemente macchiettistici, portavoci di un malcostume che da anni disegna il volto di una nazione totalmente dipendente dalla bustarella, dalla raccomandazione, e, più in generale, dalla corruzione dilagante.
Un modo piuttosto riuscito per rinverdire la tradizione della commedia dei grandi nostri interpreti del secolo scorso, Sordi e Tognazzi in cima alla lista. E proprio al figlio di quest’ultimo, Gianmarco, tocca il ruolo un po’ laido, un po’ anche da vittima, del protagonista, furbetto, approfittatore, strisciante quando si tratta di escogitare il sistema più opportuno per ottenere qualcosa; e alla fine mazziato sin oltre quello che realmente merita.
Il ministro risulta una produzione scritta con certa cura, magari anche senza scintille, ma in grado di lasciarsi guardare e scivolare via con interesse, divertimento e pure un po’ di sano disgusto di fondo, rivelandosi anche forte di alcuni bravi interpreti in grado di esaltare il lato ironico, se non addirittura sarcastico, della situazione che viene a crearsi durante la serata, con vere e proprie scene di lotta di classe e tentativi estremi di affermazione, ognuno verso il proprio porto di arrivo.
Alessia Barela spicca nel ruolo della moglie maniaca della cucina vegetariana, viziata, ma anche pronta a prendersi la sua rivincita senza dimenticarsi dei lauti interessi. Fortunato Cerlino, nel ruolo del laido servitore dello stato corrotto come da cliché, si appropria di un ruolo che chiunque avrebbe affibbiato, specialmente qualche anno fa, ad Ennio Fantastichini, mentre Edoardo Pesce nel ruolo del socio-cognato un po’ greve, un po’ disinformato, un po’ tanto ingenuo, rappresenta bene quella categoria di italiani che obbedisce senza capire, finendo spesso per “prendersela in quel posto”.
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