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Victor Victoria

Regia di Blake Edwards vedi scheda film

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La recensione su Victor Victoria

di kotrab
10 stelle

Ecco Victor Victoria, un caso eccelso di remake, ossia quando il remake ha una sua ragion d'essere che non serve ad offendere la memoria di un modello, in questo caso il film Viktor und Viktoria (1933) di Reinhold Schunzel con cui non posso al momento fare un confronto non avendolo visto, ma che nondimeno mi pare difficile possa paragonarsi (ovviamente no dal lato stilistico...) all'exploit hollywoodiano diretto da (William) Blake (Mc)Edwards, preceduto per la cronaca da First a Girl di Victor Saville (1935).
Edwards è qui veramente creatore e prestidigitatore di illusioni, mago dell'intreccio di apparenze, di colori pieni e sfavillanti e di movimenti di macchina delicati, tanto quanto le sottigliezze di sceneggiatura in perfetto equilibrio tra satira e leggerezza e dai dialoghi memorabili, argute impennate di finezza psicologica e brioso divertimento ritmico, fuso oltretutto egregiamente con l'essenza della commedia musicale e la colonna sonora sapiente ed elegante di Henry Mancini. Il bello appunto sta nella capacità di sguazzare e rendere positivamente fruttuosi gli stereotipi sulle identità sessuali e rendere credibile ciò che di per sé lo è poco, vale a dire la fantastica J. Andrews nel ruolo principale (una donna che finge di essere un uomo che finge di essere donna), un'attrice che pare fuori dal tempo (non a caso era perfetta come Mary Poppins). La sua femminilità trasparente dall'illusione del look maschile è il cardine simbolico di Victor/Victoria personaggio e film, l'incarnazione del significato profondo di questo luminoso spettacolo: un gioco di scambi d'identità non solo a livello diegetico, ma in special modo nei confronti dell'identificazione dello spettatore, del meccanismo illusorio del cinema, nel caso particolare di Hollywood: l'autoconvinzione della realtà di una finzione, il voler credere a ciò che sappiamo fasullo e artefatto, esattamente come il pubblico degli spettacoli di cabaret di Victor/Victoria, sballottato dalla mancanza di appigli e dal fascino dell'ambiguità al punto da innamorarsene (il gangster King Marchand interpretato da J. Garner, talmente rapito da non esitare a mettere in dubbio se stesso). Tutto quindi si trasforma anche in una sottile ma evidente satira delle mentalità e delle convenienze sociali contraddittorie, delle regole che pretendono di incasellare in modi univoci ciò che è spesso e imprevedibilmente polimorfo, smascherando la fragilità delle stesse.
Il gioco di incastri metalinguistici è possibile chiamarlo così anche metamorfico e metapsicologico, una riflessione sulla psicologia nei suoi meccanismi e significati che moltiplica anche quella dei veri omosessuali del film, in primis il fantasioso Todd di R. Preston, che chiude in maniera simpaticamente stereotipata per quanto riguarda la tipologia del gay checca, ma d'altra parte autentica dal punto di vista del personaggio Todd.
Ottimi anche tutti gli attori dei ruoli minori, da L. A. Warren (la moglie oca, ciarliera e stupida di Marchand) ad Alex Karras (la guardia del corpo Squash) a tutti gli altri. Le gag disseminate in continuazione fanno parte intimamente della narrazione non essendoci discrepanza alcuna tra la forma leggera e il contenuto profondo, insieme divertente e malinconico.
E poi, il travestimento non è già una specie di remake, e viceversa? 9 1/2

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