Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Una madre (Suárez) scrive una lunga lettera alla figlia, ormai adulta, che non vede da dodici anni. Le vuole raccontare come ha conosciuto il padre (Grao), un pescatore morto in una sciagura in mare durante una tempesta, e come lei ha vissuto la depressione che ne è seguita, a ruoli ribaltati, con la figlia che la accudiva.
C'era una volta l'ex enfant prodige del cinema iberico, il trasgressivo e iconoclasta Pedro Almodòvar. Del genio formale che fece scuola (da noi basterebbe ricordare Pappi Corsicato) è rimasto soltanto il colore rosso piazzato in qualsiasi inquadratura, fosse anche solo per mostrare i peperoni su una tela o un maglione del tutto inadeguato a una donna profondamente depressa. Il resto è l'ologramma triste di un regista ormai evanescente, del quale è rimasto vivo, chissà perché, solo il mito sconsiderato. Julieta, inopportunamente associato a Tutto su mia madre - l'ultimo lavoro riuscito del regista spagnolo - va ad allungare la serie di film inguardabili: da Parla con lei a Gli amanti passeggeri. Tratto da una trilogia di racconti di Alice Munro, premio Nobel per la letteratura, Julieta è l'ennesimo ritratto femminile di Almodòvar: un melò piatto come il peggior sceneggiato televisivo, dalle ambientazioni ultraborghesi dove risaltano quadri di Lucien Freud e orologi a forte impatto scenografico, accompagnato da musiche talmente eccessive che stonerebbero persino in Psycho e servito, nel ruolo della protagonista in due diverse età, da due attrici tanto belle quanto inespressive.
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