Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Ogni tanto mi càpita. E mi càpita (di rivedere un film per la seconda volta) in due precise circostanze. O quando una visione mi ha esaltato e voglio gustarmi nuovamente le performance di certi attori conoscendone già le battute, oppure quando le perplessità rendono il mio rapporto con un film ancora irrisolto e dunque il mio giudizio incompiuto. Ed è proprio il caso di quest'ultimo Almodovar. Premesso che sono solitamente un estimatore del suo cinema, ma assai critico e non ugualmente affezionato a tutta la sua vasta produzione, questa volta qualcosa non mi convinceva. Ebbene, rivisto nuovamente, ora lo adoro. Gli angoli evidentemente sono stati smussati e ho potuto apprezzarlo. Diciamo subito una cosa. Se la caratteristica notoriamente primaria di Pedro è il Melodramma. qui questa peculiarità letteralmente dilaga, s'impossessa di soggetto, sceneggiatura e stile di recitazione. Dunque dramma di sentimenti, dramma spinto, a tinte forti, tra sospiri e lacrime, tra abbandoni e tradimenti, tra rimorsi e redenzioni. E tutto questo perfettamente equilibrato, calato in un percorso narrativo armonico e suggestivo, che genera emozioni, senza indurre alcun senso del melenso o del ridicolo. Proprio ciò che ha fatto la grandezza del cineasta spagnolo, questo sdoganare ed esaltare un approccio pop ai sentimenti. Un cinema che indaga i sentimenti universali di uomini e donne, colorandone spesso vistosamente i toni ma sempre un cinema che racconta con le parole e con gli occhi del corazòn. E infatti Julieta è una madre non più giovanissima consumata dallo struggimento del non vedere più da anni una figlia che le sfugge e che la rifiuta. Nonostante lei abbia un uomo che la desidera e che vuole tanto autarla, Julieta è durissima, prima con sè stessa che con gli altri e, insomma, vuole intimamente punirsi per delle colpe regresse di cui non si dà pace, anche se poi sarà lo spettatore a giudicare se queste colpe siano reali o se non appartengano ad una ossessione che -come un fantasma- affligge la mente di questa signora. Almodovar è un genio nel far tasfigurare quel che sulla carta è un romanzetto per signore verso un dramma credibile e coinvolgente: come nella tradizione del cineasta spagnolo, il melodramma diventa Arte. In altre parole, nulla di svenevole o melenso ma una storia toccante e una perfetta rappresentazione del dolore più intimo. Un paio di cose mi sono idealmente appuntato dopo la seconda visione del film. Intanto il concetto ricorrente e suggestivo che ogni nascita (o ri-nascita) coincida (o abbia come presupposto) con una morte (e chi vedrà il film comprenderà). Poi la genialità con cui Pedro ha risolto il passaggio materiale della protagonista dall'età giovane a quella matura: ovviamente non era possibile utilizzare la stessa attrice, e allora c'è una scena (in verità breve ma a mio avviso realizzata assai bene) in cui Julieta si toglie un asciugamano dalla faccia e ne vediamo finalmente il volto non più da bella ragazza ma da donna di mezza età ed è un "colpo" cinematograficamente molto ben assestato. Poi due cose che si sapevano già: l'attenzione maniacale del regista ai dialoghi, un fiume di parole sempre calibrate e centrate in pieno, così come un commento musicale che più almodovariano di così non si poteva. Nel cast troviamo uno dei più bravi attori spagnoli di oggi, Dario Grandinetti e la popolarissima Rossy De Palma. Ma i riflettori sono tutti puntati sulle due attrici che impersonano Julieta nelle sue due fasi temporali. Una teatrale, drammatica, splendida Emma Suarez (la Julieta matura) e la meravigliosa Adriana Ugarte le cui fattezze non possono non ricordare parecchio quelle della Melanie Griffith che fu, quella bella voglio dire e non certo quel mostro devastato dalla chirurgìa che è diventata in seguito. Bel film, che dovrebbe piacere a quasi tutti e dovrebbe incassare benino anche da noi
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