Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Julieta, giovane vedova, vive per la figlia Antia, che la ripaga fuggendo di casa appena diciottenne con un gruppo di sedicenti religiosi. Una sofferenza senza spiegazione, fino a quando la legge del contrappasso riavvicinerà entrambe. Melò sfacciato e a senso unico, troppo concentrato sulla (doppia) protagonista, lasciando allo sbando l'altra.
FESTIVAL DI CANNES 2016 - CONCORSO
Le circostanze di una separazione: la scoperta di una verità, la presa di coscienza tardiva di aver arrecato alla propria madre un dolore indescrivibile proprio quando le circostanze beffarde e malevole della vita ti spingono a vivere situazioni non molto dissimili.
Quando ormai la ferita è troppo aperta per poter pensare ad una cicatrizzazione, il rimorso lascia posto al ricordo di un tempo che non si è riuscito a vivere come le circostanze avrebbero richiesto.
Julieta, cinquantenne solia e triste, vive malinconica a Madrid, con un uomo disposto ad amarla, ma senza l'entusiasmo che una storia d'amore potrebbe presagire: vedova da decenni, non vede la propria figlia unica da tredici anni, quando, appena diciottenne, la ragazza la abbandonò seguendo un sedicente gruppo fanatico-religioso. Solo oggi la figlia, madre di tre figli di cui uno morto di recente, si fa viva comprendendo l'errore di aver fatto soffrore una madre a tal punto, straziata come lo è lei ora, privata precocemente dell'affetto del suo figlio morto in un incidente.
Da una novella di Alice Munro, Pedro Almodovar abbandona le stratosfere pazze e ridanciane del suo sguaiato (ma in fin dei conti divertente e celebrativo di un suo passato spensieratamente folle) Gli amanti passeggeri, per rituffarsi a capofitto nel melodramma, manierato e atteggiatissimo.
Cupo e senza speranza, ma anche civettuolo e propenso a perdersi in scene madri forzatamente suggestive, ma senza l'ironia e la vitalità che lo resero grande o forse il più grande di Spagna da tempo immemore, Almodovar si perde dentro un melò manierato e senza cuore, troppo ricattatorio e schematico, troppo laccato e costruito, per appassionare veramente.
Julieta è resa con un certo scavo ed approfondimento da due attrici brave e belle, Emma Suarte e Adriana Ugarte. Ma è il personaggio della figlia che sparisce, risultando completamente abbandonato a se stesso da un regista che si concentra troppo e doppiamente sulla protagonista, dimenticandosi di scavare quel minimo sindacale necessario giustificare, o almeno spiegare, atteggiamenti, omissioni, comportamenti per questo inqualificabili da parte di una figlia fantasma, la cui presenza rimane evanescente, incompiuta.
Che sia reaponsabilità della scrittrice canadese, o di Almodovar, non so proprio dirvelo, non avendo letto il romanzo da cui il film ha tratto ispirazione.
Di certo la trasposizione appare zoppa, troppo sbilanciata su una figura (la madre) e completamente incurante dell'altra. E Pedro, che dirige con il solito savoir faire e la classe che mai si è lasciato da parte, dal canto suo si trova troppo preso a rendere tutto dolorosamente melodrammatico, o teso a stupire il suo stuolo di ammiratori con la valorizzazione scenografie sgargianti di rossi infuocati che ammaliano certo, ma risultano ancge alla lunga un trucchetto facile e ruffiano.
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