Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Una grottesca fiaba crudele, morale ma senza moralismi di fondo da parte del regista Nicholas Winding Refn, che dopo Solo Dio Perdona (2013), prosegue con l'estremizzazione del suo cinema proseguendo tramite The Neon Demon (2016), il suo personale discorso sul potere del neon e sulla semiotica audio-visiva.
Non c'è nulla di originale in un film che mostra la storia di una giovane e bella Jesse (Elle Fanning), che dalla Georgia si sposta a Los Angeles sperando di intraprendere una carriera fortunata di modella, ci riuscirà, ma avrà contro l'invidia e l'avversione della truccatrice Ruby (Jena Malone) e delle modelle più anziane Gigi (Bella Heathcote) e Sarah (Abbey Lee); per questo motivo Refn punta tutto su una narrazione sviluppata tramite la forma, mettendo in scena delle immagini patinate, tirate a lucido come le pagine di una rivista di moda e dalla composizione geometrica degli elementi, per una trattazione visva del tema della bellezza.
La pellicola ha una struttura perfettamente circolare, iniziando e finendo nel sangue. Refn da uno spunto semplice, imbastisce una narrazione che fonde insieme il videoclip con la videoarte, che fungono da linguaggio cardine per decodificare il percorso di Jesse dall'innocenza e pudicizia, verso il suo cambiamento in una ragazza fortemente narcicista, poiché pienamente autoconsapevole della sua bellezza pura e dell'ammirazione che suscita da parte di tutti, a differenza di quella consumata di Sarah e quella artificiale di Gigi, perché piena di ritocchi chirurgici. Jesse è una bellezza innocente ed estranea ripetto a tutte le altre modelle, i cui sguardi, ripresi in modo splendido da Refn, la squadrano con aria di curiosità mista a profonda invidia.
Nulla ci viene risparmiato dal regista nel ritratto di una Los Angeles popolata da individui arrivisti, meschini e perversi a tutti gli strati sociali, dai piani alti fino a quelli bassi, come il gestore del motel Hank (Kenau Reves); chi sembra possedere una certa decenza dopo la cesura rappresentata dalla sfilata di Jesse, è destinato a sparire dalla narrazione.
È una Los Angeles multicolori dalla tavolozza ricolma di un'ampia gamma di colori pop ed accesi, degni delle pellicole di Mario Bava o di film come Suspiria di Dario Argento (1977), che vanno dal blu al rosso, dal bianco al nero, sino al viola e perennemente illuminati dalle invadenti ed ossessive luci al neon roboanti, di cui il film è completamente saturo, quasi come se fossero un'entità a sé stante, capace di forgiare e riplasmare a proprio piacimento i soggetti verso i quali irradiano la propria luce elettrica e consacrarli alla fama eterna, facendone dei veicoli per farli fruire alla massa conformista.
È un mondo lisergico fatto di sonorità elettroniche di stampo ipnotico (grande Martinez alla colonna sonora) e visioni accese psichedeliche, in cui ci si immerge a capofitto senza pudore tra simboli (triangolo, figura di perfezione), oggetti (specchi riflettenti) e metafore, magari si finisce volutamente nel kitsch, ma il viaggio resta un'esperienza autentica.
Una pellicola eccessiva sul lato estetico, disinibita nel suo approccio alla narrazione e con tocchi estremi sul lato visivo-viscerale per portare a compimento un proprio discorso intorno al concetto di bellezza, che non è tutto, ma l'unica cosa che conta. Refn per questo film si è avvalso di ben 7 milioni, il budget più alto della propria carriera dopo Drive, purtroppo la plebe è stata ben poco recettiva verso questo grande film portando in dote solo 3,5 milioni di incassi; questo si unisce al massacro critico inspiegabile avvenuto a Cannes e da parte della critica anglosassone, molto ostile al regista verso cui sembrava aspettarsi dopo Drive (2011), una serie di film su quella scia.
Refn fortunatamente sembra essere uno dei pochi registi professionali a fregarsene altamente dell'incasso e della commercialita', evidentemente gli 80 milioni di Drive, gli dovevano aver fatto schifo e per questo ha sentito la necessità di una catarsi tramite le due successive pellicole anti-convenzionali e anti-commerciali.
Se il rifiuto del popolino era comprensibile, difficile da capire è la chiusura mentale della critica che ha rigettato in toto questo film e poi esalta il cinema zombi dell'ultimo Tarantino, le borghesate liberal di Spielberg, le scemenze politicamente corrette del cinemino americano degli ultimi anni e le stronzate dei cinefumetti della Marvel; di fronte allo smarrimento della critica ufficiale sempre più delegittimata, Neon Demon è il cinema estremo di cui abbiamo bisogno, una pellicola che ci scuote, magari non raggiunge l'equilibro apologo della violenza del capolavorico Solo Dio Perdona, ma segna comunque un avanzamento del regista verso la sua personale idea di cinema. Dato il flop ai botteghini, purtroppo sono oltre 3 anni che il regista è fermo perché è una persona evidentemente scomoda, questo è il prezzo da pagare per via di un pubblico e una critica miope; la morte del vero cinema e l'elogio della merda, che come la modella Gigi potrà anche essere carina per molti, ma non raggiungera' mai la bellezza naturale di Jesse a cui è impossibile resistere e totalmente ingestibile perché non controllabile, proprio come i veri profeti della Settima Arte.
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