Regia di Nicolas Winding Refn vedi scheda film
Cammini sopra i morti, Beltà, e ti ridi di essi, / fra i tuoi gioielli l'Orrore non è il meno affascinante / e il Delitto, che sta fra i tuoi gingilli più cari, / sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.
[da Inno alla Bellezza, Charles Baudelaire]
Subito le elettroniche note ipnotiche, ossessive, violente di Cliff Martinez s'accompagnano potenti a perturbanti immagini di Bellezza e Morte; ovvero la (una) loro rappresentazione. In scena la messinscena refniana (griffata, ripetutamente, NWR: identità e vanità), al cui centro - e inscritta in un triangolo-emblema della selezione (oltre)naturale delle cose - è posta colei che porta la Luce, Jesse. E (assenza di) luce fu. I compulsivi assalti sonori-cromatici, reiterati in un'estetizzazione brutale, acuta fino alla rarefazione - e di cui almeno due sequenze amplificano la portata, le (d)istanze (lo "spettacolo" in discoteca, virato su toni primari e illuminazioni epilettiche; la sfilata chiusa da Jesse, rinata dentro/da un triangolo, in seguito alla quale evolve e muta e trasfigura in Essere senziente e corrotto: «Io non voglio essere come loro. Loro vogliono essere come me») -, sono chiari elementi seminali di una poetica e di un linguaggio evidentemente estremizzati. Perché quella di NWR è sì un'algida, interessata esplorazione clinica dell'impenetrabile universo-Femmina (psiche-viscere-umori), da cui ricava un ritratto kitsch, sfrenato, patinato, artificioso, squilibrato, sentenzioso della - ossessione/perversione/ricerca della perfezione/brama d'innocenza della - Bellezza, e come tale caratterizzato da paesaggi - della mente e dell'animo -, sfondi, concetti, riflessioni e rifrazioni, tratti astratti e sfumature demoniache, tentazioni funeree, simbolismi elementari ricorrenti (triangoli, anche "umani" e metaforici, e specchi: il film ne è letteralmente invaso), ma è, innanzitutto, un progetto, un tentativo di mettere in opera un racconto attraverso fondamenti del modo di fare cinema. Un'immersione, consapevole e rischiosa, nel brodo primordiale dell'arte audiovisiva (ma avrebbe potuto osare di più): immagini e suoni si corrispondono prepotentemente, come in una copula selvaggia e immor(t)ale, per dare vita - forma, sostanza, narrazione, (meta)testo, rappresentazione, compimento - a una sorta di cinema "esperienziale". Forma del racconto per enfasi e alterazioni formali - idealmente giovane, femmina, virginea, lucente - che divora, cannibalizza, rifugge classici schematismi narrativi ed espressivi. Un'ambizione forse eccessiva - ed ovviamente aperta a tutte le congetture possibili -, quella di portare indietro nel tempo il "cinema del futuro", come più volte dichiarato dallo stesso regista; The Neon Demon però ha un'ottima resa, e non solo iconografica-estetica-sonora (d'innegabile, notevole fascinazione) ma proprio per l'intensità e la profondità del dispositivo teorico, della messinscena che si fa - convincente e coinvolgente nonché vivida - forza portante del racconto, del corpo filmico. Nonostante imperfezioni e cadute di stile e di tono: in particolare nel finale; non perché il regista "ecceda" nel gore (ma quando mai) e "indugi" in dettagli horror, quanto più che altro per un trascinamento, uno scollegamento, un passo incerto, che stridono con quanto visto e narrato prima. Come se non sapesse esattamente come chiudere, Refn (magari prima, oppure buttandola definitivamente verso deliri lynchiani o sporchi lidi di genere). Forse una parte voluta del processo creativo, forse un banale passaggio debole o poco ispirato di scrittura. Che importa. Quello che importa è la - ricerca della - purezza della bellezza dell'arte del racconto. Attraverso la bellezza innocente, folgorante e "pericolosa", di un'incredibile Elle Fanning.
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