Regia di Brady Corbet vedi scheda film
L'Infanzia di un Diabel
creatura limpida ed angelica
come un accecante bianco n/astro nascente
quasi come fosse un dio bel
o un dia-bel
Come Il Nastro Bianco di Haneke, The Childhood of a Leader risulta essere un'opera altrettanto importante e corroborante da un punto di vista concettuale, ma meno incisiva e decisiva da un punto di vista storico; è un film che mostra il percorso (de)formativo di un bambino che cresce in un'austera "famiglia assente" - sono, sostanzialmente, le varie badanti ed insegnanti che si occupano del piccolo Prescott - che impone al fanciullo un'educazione rigida e cattolica, nonché soffocante, e tutto ciò non farà altro che innescare o, meglio, stimolare e solleticare nella giovane creatura il potenziale malvagio insito e sepolto nelle profondità dell'animo di ogni essere umano. A differenza del sopracitato lungometraggio di Haneke - il regista di The Childhood of a Leader, tra l'altro, ha recitato in Funny Games, pellicola del 2007 del maestro austriaco -, Corbet nel suo film parrebbe sottolineare il fatto che il male scaturisca dalla contaminazione familiare verso il singolo individuo, piuttosto che dall'avvelenamento sociale verso la collettività cittadina. Insomma, un terrore più intimo e potenziale, anziché corale ed effettivo.
In questo caso, il rigore formale di Michael Haneke, quindi de Il Nastro Bianco, viene investito e sconvolto da delle lenti deformanti e da degli appannamenti visuali che riportano alla mente l'impronta stilistica di Aleksandr Sokurov, e da alcune inquadrature e carrellate che ricordano il cinema di Carlos Reygadas, dando all'Immagine uno stampo estetico di tarkovskijana memoria, merito soprattutto dell'utilizzo in parte ruiziano delle fonti luminose (sole, candele, lampade) e del 35 mm in cui è girato il film. Per tutto ciò, il quadro visivo risulta straordinariamente "invecchiato", come se fosse una sorta di dipinto ottocentesco atemporale.
L'atmosfera glaciale che caratterizza la poetica del maestro austriaco, qua viene rafforzata in maniera "subliminale" attraverso l'uso di una fotografia che predilige i colori freddi. Lo stesso discorso vale per il pessimismo filmico, che fermenta nello spettatore nel corso della visione per via di una costante onnipresenza cromatica che ruota attorno al nero.
Per quanto riguarda il sopracitato aspetto pessimistico, diversamente dal cinema hanekiano, questo risulta maggiormente intuibile - ma pur sempre dissimulato - sia per il superlativo tappeto sonoro opprimente, angosciante ed imperiale, sia per l'apocalittico aspetto profetico - celato [il momento onirico durante il riposo del bambino nel primo capitolo] o palese [le immagini storiche in b&n che scorrono nell'incipit e all'inizio del terzo capitolo] - delle immagini. Ciò non toglie il fatto che in The Childhhod of a Leader l'orrore rimanga comunque sottocutaneo e seminale, un male che quindi viene solo suggerito e accennato. Un'opera, quindi, definibile ambigua, seppur meno se paragonata a Il Nastro Bianco, ma sicuramente più conturbante rispetto a quest'ultimo.
Il film divampa in un finale zulawskiano di terremotante ed enigmatica potenza, come fosse uno spasmo demoniaco che fagocita la Storia, un attacco di panico universale che annulla l'Apocalisse, sospendendole entrambe, rimandandole, anzi, rendendole eterne ed ideali, quindi extra-storiche, destinate a reiterarsi in ogni epoca, su altri globi d'argento , attraverso figure cristologiche che si capovolgono, perché il Male è inizialmente un angelo. Luce che diventa buio. Una figura hitleriana, napoleonica, luciferina, androgina. Eterea. Perché il Male è l'incubo / sogno / presagio di una creatura temporaneamente angelica. Forse, allora, ciò che vede lo spettatore nell'excipit è solo l'(ennesimo) incubo / sogno / presagio del giovane protagonista? O la realizzazione di esso? La verità filmica rimane incastrata in tutto ciò. E il pubblico rimane intrappolato al centro di questo vorticoso dubbio
Il Male è, quindi, reale ed irreale insieme. Il Male è.
Il Male converge in Prescott. Il Male è Prescott. Il singolo che avvolge la pluralità. E ogni epoca ha il suo Prescott.
Un esordio alla regia portentoso, sbalorditivo, intelligente, azzardato, arguto ed allettante. Tra i migliori del decennio, per il sottoscritto.
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