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La corrispondenza

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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La recensione su La corrispondenza

di ezzo24
5 stelle

Che cosa resta di noi, dopo quell'evento della vita che chiamiamo "morte"? Dove siamo? se non nella memoria di chi ci ha incontrati, di chi abbiamo amato, per chi siamo esistiti. E' dunque così improbabile pensare di sostituirci per loro come si potrebbe fare con un hard-drive, una flash-rom, un server di email ? Voto 5.

Che cosa resta di noi, dopo quell'evento della vita che chiamiamo "morte"? Dove siamo? se non nella memoria di chi ci ha incontrati, di chi abbiamo amato, per chi siamo esistiti. E' dunque così improbabile pensare di sostituirci per loro come si potrebbe fare con un hard-drive, una flash-rom, un server di email ? Questo è l'intrigante soggetto, da cui parte il racconto dell'elaborazione di un lutto per la perdita di un amore, tanto improvviso, quanto tenuto nascosto, segreto e centellinato in un dialogo interattivo post-mortem, che dovrebbe accompagnare chi rimane nel viaggio malinconico che va dalla mancanza disperante all'assenza. Ma purtroppo la traduzione dal soggetto al film manca di molti elementi che sarebbero dovuti essere all'altezza del progetto.

In primo luogo la verbosità. Se è vero che il nucleo del racconto è quanto rimane di chi se n'è andato, e quindi la sua fisicità è la prima a venir meno, tanto più si doveva essere accorti nel risparmiarne i messaggi, le immagini, le clips, i documenti, la voce fuori campo, che alla lunga diventano esasperanti e quasi ridicoli, come il suono insopportabile del cellulare.

In secondo luogo la sterilizzazione del racconto, la frammentazione del tempo logico, la plastificazione delle emozioni, che sottomettono quasi completamente il vissuto della protagonista ad un intento didascalico infantile, da telenovela, peggio: da fiction televisiva. Si tenta di spiegare l'inspiegabile, mentre sfugge lo spessore delle emozioni e delle aspettative. Ad una metrica necessariamente tecnologica, quasi da intelligenza artificiale, si doveva contrapporre una altrettanto decisa poetica, che invece rimane quasi completamente esclusa, salvo rari momenti (il cane, il volo dell'uccello, il caminetto sempre acceso, il parallelo con le stelle morte, le sculture finali).

Infine, se di un testamento dell'anima si voleva parlare, i toni dovevano essere quelli della separazione, della solitudine di chi muore e di quella di chi resta, e del progetto che ci sopravvive, invece che quelli sopra le righe di chi vuole fare il simpatico anche in punto di morte, ma così facendo ci fa sentire ancora di più il suo egoismo, soprattutto se con il volto di un Jeremy Irons sicuramente fuori luogo in questa parte, lontanissimo anni luce dagli anni d'oro de "Il danno".

Voto 5. Occasione sprecata.

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