Regia di Elisabetta Lodoli vedi scheda film
Una sedia rossa. Vuota. Un muro di pietra.
Primi piani e testimonianze.
Al bar Tito, nelle bacheche, sulle pareti, armi e foto, frammenti di memoria, dati storici a ricostruire la nascita di una nazione: la Jugoslavia.
Le parole, i volti, i ricordi: le atrocità di una guerra.
In movimento, seguendo la Drina, le montagne verdi, il cielo grigio. Sarajevo, dall’alto, i ponti e i palazzi, i racconti e le ferite.
La videocamera come un mirino, zoom avanti/indietro, il punto di vista di un cecchino.
Pazi Snajper (fotografie in bianco e nero).
Bambini e ragazzi, infanzie e giovinezze perdute, negli scantinati dei palazzi, ad inventare mondi, quando fuori, il loro mondo veniva distrutto.
Le parole, impressioni mentali che si sovrappongono alle immagini, connessioni tra il presente e il passato, le strade di Sarajevo, gli echi delle esplosioni.
Gli edifici sventrati, stupri nel cemento.
Campi di prigionia, vendette, battaglie interiori, trasformazioni spirituali, l’odio a muovere le azioni, il tradimento che fa nascere fiori di violenza.
La comprensione e il dialogo, come cure.
8372… inciso sul marmo. Luglio 1995. Srebenica. Nomi e date. Lapidi. Le vittime di un genocidio.
Zivot. Ljubav.
Parole uguali, lingue diverse.
Significati che l’orrore ha fatto dimenticare.
Stolica.
Per fermarsi e riflettere.
E forse, finalmente, capire.
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