Regia di Roberto Bontà Polito vedi scheda film
Marta (incinta da sei settimane) e il suo compagno Alessandro arrivano a San Lupo (nel beneventano), dopo la morte del nonno di lei. Il paese è funestato dalla sparizione dei bambini e da un’antica credenza legata a una strega di nome Janara. Qui si imbattono, nell’ordine, in: scenari inquietanti, sorella scorbutica, zia fuori di testa, ambiguo prete americano, paese in preda alla psicosi e usuale campionario di simbologie sinistre per fare risaltare il verbo soprannaturale. L’horror in Italia è un cattivo affare da circa tre decenni, ma al suo esordio nel lungo il napoletano Roberto Bontà Polito (lunga ed eclettica la sua gavetta) si impegna a non cadere nelle trappole esibizioniste e a evitare il ridicolo involontario, spauracchio assoluto di questi progetti. Adatta con mano ferma e regia classica un soggetto folkloristico, operando anche un’interessante, ma indecisa, revisione di una leggenda popolare, con la strega raffigurata come donna emancipata e il furore del popolo e la superstizione come sinonimi di terrore. La messa in scena, spesso appesantita da un commento sonoro invadente, guarda contemporaneamente alla tradizione italiana gotica, alle ghost story di stampo melodrammatico e a un certo horror americano sudista. Mancano però i guizzi a tenere in piedi una scrittura troppo scolastica e il film non decolla, inciampando in uno sviluppo che finisce per annoiare. Effetti (pochi) a cura di Stivaletti, memoria storica vivente del genere.
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