Regia di Rafa Martínez vedi scheda film
Ci sono agenzie immobiliari che non vanno per la sottile quando esigono gli sfratti: eliminano gli inquilini come se fossero ratti. Il derattizzatore in questione è El Liquidator, un uomo totalmente coperto da una tuta professionale in protezione chimica, con una sacca pieni di attrezzi utili per ogni situazione, senza viso, dai movimenti lenti e dalla costanza inesorabile come molti psycho killer prima di lui, da Michael Myers a Jason Voorhees. Il liquidatore viene pagato per uccidere gli inquilini che non vogliono andarsene da casa loro: mali estremi, estremi rimedi, la crisi economica è anche crisi civile e morale e la Spagna sa bene come il mercato immobiliare sia crollato tanto spaventosamente da rendere tutto lecito.
In una notte di pioggia, la giovane agente immobiliare che difende i diritti degli inquilini decide di fare una sorpresa al suo fidanzato e gli regala una notte in uno degli appartamenti abbandonati di un vecchio edificio decadente. L’unico abitante è un vecchio solitario che sta all’ultimo piano – qualcuno si ricorda La comunidad di Álex de la Iglesia (2000)? – e che non ha assolutamente intenzione di andarsene. Arrivano tre balordi pagati dall’agenzia e lo fanno fuori, ma quando l’incontro con i due fidanzatini in luna di miele si rivela più difficile del previsto, verrà chiamato El Liquidator per sistemare le cose una volta per tutte.
L’esordio di Rafa Martínez è un home invasion claustrofobico giocato sull’iconografia e i topoi del genere che ad una visione attenta si rivela un perfetto horror urbano dove le paure moderne come povertà, solitudine e paura atavica e incontrollata dello sconosciuto sono utilizzati al meglio come dispositivi narrativi senza troppi fronzoli e con molte idee.
Capitale, socialità e omofilia diventano le prede da rincorrere in un gioco mortale, sul modello gatto con il topo, strutturato all’interno dell’edificio simbolo della babele contemporanea: il condominio. Se in La comunidad il condominio era il coacervo di un’umanità misera e animalesca, in REC (2007) era la culla e il labirinto sociale di un male ben più terribile di quello zombesco, in Mientras duermes (2012) era tana e territorio di caccia di un uomo animalizzato dalla solitudine, in Sweet Home è il sepolcro di tale umanità animalizzata, la sua ultima tomba, svuotata, abbandonata e corrotta: rovina postmoderna della società civile.
L’ottimo lavoro di Rafa Martínez è tale anche per il ritmo e per le idee con cui innerva il racconto di predazione, l’home invasion puro, anche se qui in gioco non c’è più la proprietà privata, bensì la propria vita. Un survivor movie metropolitano, non parco di crudeltà e succulento côté splatter, che parte dall’ultimo piano e poi scendendo le grandi rampe di scale si inabissa nei sotterranei della città dove la morte e la corruzione del corpo trovano la loro ultima stazione, l’ultimo livello di degenerazione dell’urbe.
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