Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Qualcuno - non ricordo chi - aveva soprannominato la top model Claudia Schiffer "vagina sintetica". È un soprannome che sintetizza bene l'essenza di un film come questo, rispetto al quale anche Mereghetti nel suo Dizionario si rifiuta di spendere troppe parole.
I fratelli Vanzina si sono spesso gettati su temi di attualità per spolparli a dovere e buttarli in pasto al vasto pubblico cinematografico, in particolare quello che affolla(va) le sale nel periodo natalizio. Con Via Montenapoleone i due fratelli romani tentano di fare e dare un quadro, come al solito assai superficiale, della Milano da bere degli anni Ottanta, operando qualche tassello in quella strada che la canzone di Peter Van Wood (che sentiamo sui titoli di testa e di coda) definisce «il salotto di Milano».
Purtroppo, gli episodi slegati e una realtà esterna totalmente ignorata contribuiscono a far trionfare una morale retriva, rispetto alla quale non basta certo la pseudo tirata anti omofoba (del filone legato al personaggio interpretato da Luca Barbareschi), tutta all'insegna del motto «ho tanti amici gay e sono molto simpatici».
Per di più, qualche vago spunto antonioniano è soffocato sotto a quintali e metri quadrati di pelliccia, dietro alla quale non si fatica ad intravedere la strage di tanti animaletti (ancora lontani i tempi dell'impegno animalista di molte top model).
Partecipano al film dei Vanzina anche alcuni insospettabili, come il cantautore e scrittore Gianfranco Manfredi e il comico Paolo Rossi (in una parte che sembrava scritta per il già decaduto Mauro Di Francesco): evidentemente i soldi della Milano da bere - alla più proletaria acqua Pejo dei poliziotteschi degli anni Settanta si sostituisce qui la più frizzante minerale San Pellegrino - non puzzavano per nessuno.
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