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Fulboy

Regia di Martín Farina vedi scheda film

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La recensione su Fulboy

di alan smithee
6 stelle

Un "dietro le quinte" intimo, impercettibilmente ironico e quasi spiazzante ci mette letteralmente a nudo fisici e personalità coltivati in cattività per avere successo e produrre utili. Il mondo del football senza pallone.

I protagonisti del calcio senza il calcio né un campo sportivo ove sfogarsi (eccetto una fugace apparizione verso la fine durante un allenamento, ma questione di pochi secondi): strano documentario questo Fulboy.

Strano perché non si capisce bene a chi sia diretto: non certo ai fans sfegatati di calcio, che penso se ne infischino di sottigliezze tipo le tensioni emotive e le ansie da prestazione affrontate “sul corpo” dei singoli calciatori professionisti di una regolare squadra argentina, privilegiando, forse non a torto, il lato agonistico o talvolta quello più  grevemente da tifoseria che accomuna come un gregge o divide come in guerra. Uomini giovani, i quali si mettono epidermicamente, oltre che letteralmente a nudo, aprendo – anzi spalancando le porte alla camera del regista Martin Farina, che si addentra senza clamori, risultando quasi invisibile, restituendoci un clima intimo da parte di un gruppo di giovani che si confronta, scherza, cura la propria immagine non senza un cenno di vanità che potrebbe mettere in imbarazzo in altri contesti (o squadre più famose) o creare i presupposti per un clima dalle atmosfere tendenziosamente erotiche (o omoerotiche, a seconda del pubblico al quale si rivolgono).

Non manca anche qualche accenno ironico quando la macchina si sofferma sui segni che lo sforzo fisico lascia sui corpi giovani e levigati dei calciatori: vittime privilegiate di un mondo che li celebra ed alleva come cavalli di razza nati per vincere (e far guadagnare), molti di loro provenienti da un mondo e da realtà i cui segni fisici e morali sono ben altra cosa che due piaghe tra le dita dei piedi e qualche ferita da calcio alle caviglie.

Insomma un documentario a suo modo spiazzante, che sin dall’inizio non si sa “se ci faccia o se ci sia”, e ad ogni buon conto una operazione quantomeno originale e sfidante: raccontare il mondo del calcio in modo così deliberatamente intimo da escludere completamente lo sport a vantaggio dell’uomo.

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