Regia di Ricky Tognazzi vedi scheda film
La storia di Pietro Mennea, da un paesino del sud - e contro il volere dei suoi genitori - verso i record assoluti nell'atletica nazionale, europea, olimpionica e mondiale.
E' una fiction televisiva, cosa ci vuoi fare? Cosa ti aspettavi di più? La vita di uno dei più grandi campioni italiani, dei nomi maggiormenti noti a livello mondiale dello sport italiano viene portata sul piccolo schermo da Ricky Tognazzi su commissione della Rai a breve distanza dalla morte del protagonista. Inevitabilmente fioccano gli elogi e si va verso l'agiografia, inevitabilmente la sceneggiatura di Fabrizio Bettelli e del regista e sua moglie (Simona Izzo) mira a raccontare con tutto il pathos possibile un'infanzia difficile al limite del disagio psicofisico (e ci piacerebbe sapere cosa pensano i parenti stretti di Mennea di questo lavoro televisivo) e la successiva sequela di successi inarrestabili che in fin dei conti minimizzano la lunghissima preparazione senza dubbio intercorsa. Ma stiamo pur sempre parlando di un film prodotto per la tv, sponda Rai, in due canoniche puntate da cento minuti ciascuna; inutile davvero protestare o chiedere di più. Ci si deve semplicemente accontentare di un modestissimo protagonista quale MIchele Riondino (a ridosso dei 40, spacciato per adolescente e postadolescente per la maggior parte della durata della storia) e dei suoi gregari, fra i quali qualche nome illustre: Elena Radonicich, Gianmarco - fratello del regista, in calo di popolarità - Tognazzi, Nicola Rignanese, Lunetta Savino (ormai confinata in ruoli tipo 'madre coraggio': sprecata - sprecata e orribile a vedersi) e, dulcis in fundo, ebbene sì: Luca Barbareschi. No comment. Tognazzi ha fatto anche di meglio, a livello contenutistico; qui si limita ad amministrare un prodottino su commissione senza grande fatica e se la cava pure dignitosamente. Ma non era così che volevamo ricordare Mennea. 3/10.
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