Regia di Luigi Magni vedi scheda film
Se al primo sguardo può apparire un film atipico per Magni (solitamente impegnato in ricostruzioni storiche popolari della Roma del diciannovesimo secolo), questo La via dei babbuini in realtà prosegue (ed anticipa) il percorso logico che guida la carriera del regista romano; si tratta di una parabola sulla riscoperta delle proprie radici, di un viaggio parallelamente esteriore ed interiore alla ricerca dell'uomo e della sua identità. E' un viaggio quindi storico, evoluzionistico, sociologico: la teoria (esposta esplicitamente) è quella secondo cui l'uomo e la scimmia si sono distinti dopo secoli di evoluzione parallela, ed ora l'uomo si sente solo e torna sulla 'via dei babbuini' a ritrovare fondamentalmente sè stesso. C'è un marcato accento antiborghese, soprattutto evidente nella figura del marito. Curioso - e molto buono - l'abbinamento dei due protagonisti, la Spaak e Pippo Franco; Stander compare brevemente. Per lo più scene in grandi spazi aperti, ampio risalto alla natura, qualche concessione 'cartolinesca'. 5/10.
Floriana accorre, con il marito, al capezzale del padre morente. Non ha mai conosciuto l'uomo, anche perchè vive nel cuore dell'Africa. Una volta sul posto, la ragazza decide di percorrere con una guida (un italiano che vive là da anni) la 'via dei babbuini', un percorso immerso nella natura: il marito si rifiuta e torna in Italia, mentre Floriana riscopre affascinata le radici dell'uomo.
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