Regia di Victor Fleming vedi scheda film
E' un film che coniuga ottimamente la spettacolarità e i grandi mezzi con una buona sostanza cinematografica e di contenuti. E' un equilibrio che specialmente oggi, secondo me, si fa fatica a raggiungere. Il tutto è fuso al meglio per costituire un'opera la cui fama non è, credo, immeritata.
I personaggi sono ben definiti e interessanti, soprattutto Rossella (Vivien Leigh) e Rhett (Clark Gable). Di lei vengono messi in evidenza sia la testardaggine nel desiderare Ashley, che il buon senso consiglierebbe di dimenticare, che gli errori che infila uno dopo l'altro: dai matrimoni di interesse o per ripicca, ai pesanti compromessi con la coscienza per motivi economici. Si comporta quasi come una ragazzina, e mi domando se la scrittrice del romanzo non vedesse se stessa in Rossella, e avesse scritto il romanzo in senso autocritico. In fin dei conti si parla di una dolorosa storia di maturazione di una donna che, dopo molti errori e sofferenze, impara finalmente a vivere in modo sensato e ad amare la persona giusta. Trovo interessante quello che le dice Rhett ad un certo punto, cioè che se ottenesse il sospirato Ashley, uomo languido ed evanescente, dopo un po' se ne stuferebbe (perché di solito queste cose vanno così).
Secondo me il film non è razzista, o pro-schiavismo, come taluni affermano. Mi sembra se mai una lancia spezzata o un atto di nostalgia per gli Stati del Sud, con il loro mondo e i loro valori, che furono quasi del tutto spazzati via dalla guerra civile. Anche il discorso sulla schiavitù è tutt'altro che semplice. Certo, al Sud vigeva la schiavitù, e i negri lavoravano nelle piantagioni di cotone dei bianchi, la quale non era certo la migliore condizione di vita possibile. Anche il razzismo era (ed è) una realtà. Di fatto, però, venivano trattati neanche troppo male, e in alcuni casi diventavano amici di famiglia e venivano guardati con rispetto (come il padre esorta Rossella a fare, la quale è troppo severa con la servitù nera). Con la sconfitta e l'occupazione delle truppe del Nord, il film fa vedere (come probabilmente avvenne) quanto la suprema causa dell'abolizione della schiavitù fosse in realtà assai più uno slogan che una reale convinzione umanitaria. I nordisti infatti offrono subito alle fattorie i servigi dei galeotti condannati ai lavori forzati, i quali vengono trattati assai peggio degli schiavi negri di prima. L'episodio si commenta da sè. Dall'altro lato, è evidente che la pellicola dà un'immagine positiva dei personaggi neri: chi è saggio e schietto, chi è coraggioso e onesto, e tutti sono gran lavoratori. Quindi non definirei affatto Via Col Vento un film razzista o schiavista. Lo stesso non si può dire del doppiaggio italiano, che fa parlare gli afro-americani come neppure il "vu-cumprà" ultimo arrivato in Italia parla. Per il resto ben fatta, la versione italiana finisce però per infastidire un po' proprio per questo.
Per il resto grande fotografia a colori sgargianti (con certi bei controluce al tramonto), ottimi dialoghi con diverse battute memorabili e duetti amorosi pepati (specie tra Rossella e Rhett). Pare che il film sia stato fortemente condizionato, e persino diretto in certe scene, da David O. Selznik, uno dei produttori più invadenti ed ambiziosi della storia del cinema. Fatto sta che, diversamente da quello che accade di solito in questi casi, il risultato è comunque eccellente. Forse Via Col Vento si può difinire un capolavoro nonostante diversi elementi che di solito rovinano un film.
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