Regia di Gianfranco Rosi vedi scheda film
Fuocoammare - dal titolo di una canzone degli anni Quaranta, citata nel film - è formalmente la prosecuzione del precedente lavoro di Gianfranco Rosi, Sacro GRA (2013): storie in apparenza distanti o addirittura antitetiche che si accavallano sullo stesso territorio. E qui sta il fulcro dell'opera: il territorio, il luogo oggetto dell'indagine documentaristica del regista; se il GRA è lo snodo vitale dei romani - cittadini, adottivi, turisti e via dicendo -, ecco che Lampedusa è diventata dagli anni Novanta la chiave di volta delle vite di decine, centinaia di migliaia di persone: quelle in fuga dall'Africa, che approdano in condizioni miserrime qui e ricevono la faticosa, drammatica, disperata accoglienza delle strutture preposte e dei cittadini locali. Le storie si intrecciano quindi mirabilmente: Rosi è bravo a mantenere un tono da inchiesta, giornalistico nel senso nobile del termine, che non permette alcun tipo di parallelo o di paragone fra le sequenze; osservatore neutrale, ma non per questo impietoso, il film si sviluppa come il racconto (storia-non storia; affresco e non semplice quadro) di ciò che accade nel 2016 sull'isola che rappresenta il punto più a sud dell'Italia. La prosecuzione ideale è anche concreta, dal punto di vista dei premi raggiunti: così come per Sacro GRA era arrivato il Leone d'oro, ecco che Fuocoammare viene tributato a Berlino con l'Orso d'oro. Ancora una volta Gianfranco Rosi dimostra che una via moderna per il documentario esiste e la si può percorrere con buonissimi risultati, in questo caso anche andando a scomodare - senza proporre accuse, tesi, ideologie - tematiche forti. 7/10.
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