Regia di Fabio Bonifacci, Francesco Miccichè vedi scheda film
Si veste da cameriere, entra nell’ufficio di una casa editrice. Caffè brioche succo. Manoscritto. Vuole che venga letto il suo libro. «Quello che c’è qui dentro è tutto vero». Parole di Edoardo Leo, unico corpo da commedia attuale nell’Italia precaria. La sua storia è quella di un trentaequalcosenne infelice come tanti, servo (pardon: addetto alla comunicazione) di un imprenditore leghista, in attesa di uno scatto che lo porti dai 1.300 ai 1.700 al mese. Un uomo, con due belle complici, lo raggira. Il conto alla rovescia è presto fatto: meno soldi, meno il lavoro, meno la donna, meno la casa. Zero è quel che gli resta. Meglio così? Seguono scuola di truffa e piatto freddo della vendetta: ma è solo il finale a stabilire verso chi. Francesco Micciché (figlio di Lino) e Fabio Bonifacci esordiscono con quello che sembra un fratello di Smetto quando voglio e un figlio di soliti ignoti e signori della truffa Usa, ma - finale negli occhi a illuminare tutto retroattivamente - è soprattutto un integratissimo film situazionista, che sa sfruttare e criticare al medesimo tempo i luoghi comuni del sistema-commedia-italiana, scialo di maschere facili e buchi di sceneggiatura, arte affabulatoria e tic da caratteristi, estetica da film commission e dittatura del product placement. La truffa migliore - come in Nymph()maniac - è quella che vuole la vittima. L’ascoltatore. Lo spettatore. L’Italia, la generazione dei padri e la loro industria culturale. Non c’è un tempo comico che funzioni. Sappiamo accontentarci.
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