Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
Piccolo gioiello dell' 'intimismo politico' italiano, l'opera seconda di Francesca Archibugi è un affresco lieve e sentitissimo sull'incomunicabilità tra generazioni, oltrechè sulle stridenti contraddizioni d'un'epoca di maestri deposti dalle cattedre ed allievi (in cerca) di loro stessi. Stupisce come, in un periodo di massimalismo filmico assoluto (l'inizio anni '90 delle 'turnè' salvatoresiane, del melodramma alla Tornatore e dei prototipi di cinepanettone contemporaneo) la Archibugi riesca a disegnare un quadretto d'interni d'un minimalismo mai sciatto; secco e fiammeggiante come il miglior cinema 'militante' anni '70 era riuscito ad essere. In questo, il debito che l'autrice ha col primo Amelio e con i fratelli Bertolucci è forte, e sincero. A voler sforzarsi nel trovare difetti si può maliziosamente notare come la presenza dei bambini più-arguti-degli-adulti sia, di fatto, una costante nel cinema della Archibugi... Come non provare empatia? Un paio di arrangiamenti del jazzista Gatto, inoltre, suonano non perfettamente 'armonici' in relazione a ciò che le immagini suggeriscono... d'accordo, ma son davvero difettucci inessenziali al cospetto d'un'opera in grado di emozionare parlando di costruttivismo hegeliano e riunioni d'autocoscienza, e non di pizza, cuore & amore e 'giuro-solo-un-bacio'...
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