Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
GIULIANO MONTALDO
"Perché le immagini, di cui si nutrono le nostre fantasie, non dovrebbero, a sua volta, nutrirsi di noi?”
“-A volte le immagini, come l’immaginazione, possono essere più forti della realtà!
-Il suo è solo un gioco di parole!
-Lei crede?”
In questo botta e risposta tra un ispettore di polizia incredulo e sfiduciato ed un bizzarro sociologo, si chiude, lasciando completamente aperto ogni dubbio, l’enigma cinefilo che sta al centro di questo curioso piccolo film, non si sa bene per quale motivo destinato alla televisione, girato con pochi mezzi ma tante idee ed estro da Giuliano Montaldo nel 1978.
Come nel successivo horror di Lamberto Bava del 1985, Demoni, Circuito chiuso si svolge tutto all’interno di una sala cinematografica romana, in un pomeriggio come tanti quando ancora le sale erano affollate. Il film in programmazione è uno spaghetti western con Giuliano Gemma (ufficialmente il film dovrebbe essere I giorni dell’ira, di Tonino Valerii, ma in realtà lo spezzone del duello-fulcro del mistero della vicenda è tratto da “..e per tetto un cielo di stelle” di Giulio Petroni.
Succede che, al momento del duello risolutivo, nell’esatto momento in cui Gemma spara per uccidere il suo avversario (William Berger), un proiettile uccide uno spettatore, colpendolo al cuore.
Il locale viene subito preso d’assedio dalle forze dell’ordine, che, nel ricostruire la scena esattamente come si è verificata, vanno incontro ad un secondo omicidio. Interviene il Questore, le indagini si fanno serrate, la stampa esige spiegazioni, ma l’assassino non si trova…. Non si trova perché forse nemmeno esiste, e il potere della suggestione ha finito per essere letale ai danni di due innocenti, rei solamente della circostanza, nel primo episodio del tutto casuale, di trovarsi seduti nella poltrona sbagliata.
La povertà dei mezzi a disposizione, la sciatteria della fotografia senza filtri che rende particolarmente vintage e ben poco fotogenico il piccolo film, non impediscono alla pellicola di manifestare, anche con una certa esuberanza, la sua impellente, galvanizzante natura cinefila, conducendo lo spettatore in un percorso un po’ diabolico, un po’ a ritroso negli anni del boom delle sale cinematografiche, in cui non farsi coinvolgere risulta davvero difficile.
Flavio Bucci,con il suo bel timbro vocale, si guadagna poco per volta il suo spazio tra i molti personaggi coinvolti, interpretando lo strambo ed occhialuto sociologo, scambiato inizialmente per matto, ma successivamente ascoltato con un po’ più di riguardo, ma non senza una forte titubanza di fondo.
E la vicenda procede in modo piuttosto coinvolgente, attraverso un’inchiesta che ricostruisce le dinamiche fisico-pratiche di un avvenimento dai contorni misteriosi, e che, col passare del tempo, si rivela sempre più appannaggio di fenomeni che ben poco hanno a che fare con la materialità della vita di tutti i giorni.
Con l’occasione Montaldo ed il suo sceneggiatore Nicola Badalucco, sviscerano con una certa cura e non senza una indovinata malizia, tratti di caratteri di personaggi curiosi o controversi (il maniaco sempre nei cessi, il giovane omosessuale, gli amanti in incognita – lei è Aurore Clément, delineando gli estremi di una platea di quaranta soggetti tutti piuttosto singolari, se non proprio maniacali, su alcuni dei quali la polizia si concentra con una certa decisione, erroneamente convinta di riuscire a venire a capo di un pluri-omicidio che assomiglia ad una vera e propria deliberata esecuzione, dai contorni e dalle caratteristiche tutt’altro che materiali o terrene.
Il film, presentato con un buon successo di critica alla Berlinale, ebbe vita assai travagliata perché l’ipotizzata (e logica) uscita in sala venne poi bloccata dalla Rai a seguito di una controversia con i cachet minimi riservati al cast. Circostanza che ne ostacolò pure il passaggio televisivo, rendendo il film un oggetto misconosciuto, ma di culto.
Momenti di gran suspence coinvolgono lo spettatore soprattutto verso la (mancata) resa dei conti, con bel Giuliano Gemma che, in pieno duello, occhio ferino ma mobile ed espressivo come lo è stato raramente in maniera così incisiva, sposta la mira dal suo sfidante al Questore, che comprende troppo tardi la situazione e vede letteralmente “la morte negli occhi”: una gran scena cinematografica che unisce come in simbiosi due pellicole, il western proiettato in sala, e il nostro film: una bella trovata che odora di cinefilia più convinta e convincente.
Una operazione concepita per la televisione che ricorda, come stile e inevitabile atmosfera vintage, la bella serie curata da Dario Argento solo qualche anno prima, dal titolo “La porta sul buio”, all’interno della quale lo stesso Argendo diresse il notevole “Il tram”.
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