Regia di Rob Zombie vedi scheda film
Uno degli horror più interessanti degli ultimi tempi, pieno di atmosfera, di trovate originali e talvolta geniali, e con una riflessione sulla violenza per niente scontata.
E’ il 31 ottobre, il giorno di Halloween, e un gruppo di fricchettoni viaggiano in un camper. Loro sono fuori di testa, rozzi, triviali, primitivi, grevi, ma in fondo anche compagnoni e simpatici.
L’allegra combriccola si ferma per fare benzina e si accorgono che nell’aria c’è un atmosfera strana, ma non così strana da far sorgere preoccupazioni. In fin dei conti ci troviamo in America.
Il gruppo riparte, ma da quell’atmosfera strana fuoriescono i problemi e le complicazioni. I nostri rozzi amici vengono rapiti e costretti a giocare da un gruppo di aristocratici con abiti settecenteschi a "31", un macabro gioco dove chi perde muore.
Rob Zombie è uno dei pochi registi attualmente in circolazione in grado di mettere in moto quella complessa macchina chiamata horror. Perché di una complessa macchina si sta parlando. Con l’horror parliamo di ingranaggi, di schemi si ripetono, di freni e acceleratori e, purtroppo, non ci sono più molti piloti bravi come Rob Zombie.
Il film parte come se fosse il classico film di mestiere, piene di atmosfere azzeccatissime, aiutate dalle musiche e dalla bellissima fotografia, ma ben presto si trasforma in qualcos’altro. I nostri personaggi, all’apparenza banali e monolitici, diventano molto interessanti, perché prima rinnegano questo gioco, ma poi entrano completamente nella logica distruttiva e partecipano attivamente al massacro, arrivando perfino ad esasperare i propri carnefici. Non esistono ripensamenti, quindi, in questo gioco brutale, che magari è una metafora della vita, e chi commette questo errore, chi ci ripensa o chi prova a non essere assoggettato a tutto questo muore, come alcuni dei nostri protagonisti. Quando ci troviamo in pericolo, quando siamo minacciati da un branco inferocito di psicopatici violenti e disturbarti, diventiamo noi stessi psicopatici violenti e disturbati, ritornando alla più animalesca primitività, come quando persone mangiano altre persone per sopravvivere. E tutto questo non è affatto banale in un film horror di questi tempi.
Per il resto cosa rimane? Rimangono le fantastiche trovate come il nano nazista e il suo altare con la foto del Führer, i due clown con la motosega alla Leatherface e, soprattutto, Doom-Head, uno dei personaggi più belli partoriti dalla mente contorta di Rob Zombie, interpretato da un bravissimo Richard Brake.
In definitiva siamo di fronte ad un altro piccolo gioiellino di questo bravissimo regista che continua, nonostante l’antipatia che sia il pubblico che la critica nutrono per lui, a sfornare film mai banali e soprattutto molto personali. Perché non c’è niente di più triste che un film senza personalità. Fortunatamente questo non è il problema di Rob Zombie, che, questa volta, riesce a regalarci anche un finale da manuale.
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