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Mowgli - Il figlio della giungla

Regia di Andy Serkis vedi scheda film

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La recensione su Mowgli - Il figlio della giungla

di supadany
6 stelle

Nella sua azione, un artista è mosso da prerogative che ne dettano inderogabilmente le linee guida. Ognuno ha la sua specialità, delle modalità che predilige e, per quanto possa sempre adattarsi, un richiamo lo spinge verso ciò che più ama, quella materia che ha studiato e messo in pratica, sentendo di dominarla in tutte le sue funzionalità.

Nel caso dell’inglese Andy Serkis, tutto è strettamente alla performance capture, tecnica che ha svezzato con l’iconico Gollum nella trilogia de Il signore degli anelli per poi riprenderla in altri titoli di successo, segnando progressi continuativi, fino a conquistare apprezzamenti entusiastici per The war – Il pianeta delle scimmie.

Mowgli – Il figlio della giungla germoglia grazie a un utilizzo massiccio di questa tecnologia, scintillante in mezzo alle altre note, che (s)variano tra prese di posizione sorprendenti e limitazioni su cui è arduo tacere.

Salvato da morte certa da un branco di lupi, Mowgli (Rohan Chand), un cucciolo di uomo, è allevato seguendo le regole della giungla, come se fosse uno di loro a tutti gli effetti. La sua crescita segue gli insegnamenti dell’orso Baloo e può contare sulla protezione di Bagheera, ma deve sempre guardarsi le spalle da Shere Khan, una tigre che non vede l’ora di ucciderlo.

Comunque sia, arriverà il giorno in cui dovrà fare i conti con la sua vera natura e prendere in mano le redini del suo destino, scegliendo da che parte stare, se rimanere nel mondo degli animali o vivere come un umano.

 

Rohan Chand

Mowgli - Il figlio della giungla (2018): Rohan Chand

 

Anche da regista, Andy Serkis ci ha messo poco ad approdare al suo vero amore. Così, un anno dopo Ogni tuo respiro, melodramma passato in sordina, sembrava sul punto di procedere con l’adattamento de La fattoria degli animali di George Orwell, ma Mowgli – Il figlio della giungla ha messo la freccia.

Parliamo di una produzione targata Warner - approdata direttamente su Netflix, probabilmente per paura di farsi male al botteghino - obbligata a confrontarsi con Il libro della giungla di Jon Favreau, apripista di quei rifacimenti live action in casa Disney che stanno mietendo enormi successi (nel 2019, nel giro di poche settimane vedremo Dumbo di Tim Burton e Aladdin di Guy Ritchie).

A prescindere da ogni confronto diretto, il film di Andy Serkis individua la sua direzione, con una proposizione adulta, una natura più violenta e insidiosa, animali possenti e segnati dalla vita, peraltro con un abbrivio anticipato e una parte finale incalzante, che mette a contatto l’uomo e gli animali senza essere niente affatto rassicurante.

La volontà di non piegarsi a un canovaccio risaputo è lieta, ma sul resto emergono parecchie perplessità. Il digitale non è sempre all’altezza e pecca in fatto di fluidità, mentre la spaziatura non è compatta, soggetta a lacerazioni invadenti. Inoltre, l’apparato ha poche scene topiche, prolungate e complesse in linea a quanto uno show di questo genere richiederebbe, come se tagliare laddove la complessità esecutiva risulti eccessivamente onerosa, fosse una necessità non raggirabile.

Questa sensazione emerge più volte, tanto più per chi ha ben presente il recente film Disney (il parallelo più eloquente porta al rapimento di Mowgli da parte delle scimmie), minando irrimediabilmente l’assemblaggio.

 

scena

Mowgli - Il figlio della giungla (2018): scena

 

In una contingenza del genere, l’attenzione è completamente veicolata dalle prove riconducibili alla performance capture, che ha visto impegnati interpreti d’eccezione, segnatamente Christian Bale (Bagheera), Cate Blanchett (Kaa), Benedict Cumberbatch (Shere Khan) e ovviamente lo stesso Andy Serkis (Baloo).

È così che la visione in lingua originale diviene assolutamente caldeggiata, mentre nelle singole espressioni e negli sguardi si ricerca ardentemente il lato umano, assolutamente rintracciabile.

Un pregio che evidenzia indirettamente anche i limiti dell’operazione, valida per la sua fisicità, per come attua gli istinti animali, anche degli uomini, arrivando a manifestare un’inaspettata cupezza selvatica, penalizzata da automatismi cigolanti e tempistiche striminzite, che strozzano il fiato.  

Temerario e categorico per come si offre, volatile nel rendimento.

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