Regia di Stephen Fingleton vedi scheda film
Ecco qui un nuovo enfant prodige della cinematografia inglese, prima, e poi, chissà, mondiale. Fingleton ha fatto tutta la sua bella gavetta di corti, e con questo esordio è arrivato direttamente a una nominaton agli Oscar inglesi, i Bafta, ha vinto il premio come miglior film indipendente britannico e a tutta un'altra serie di riconoscimenti in giro per il mondo. Insomma, roba da far tremare un po' i polsi e che mi ha fatto crescere la curiosità per questo film, che sta, a pieno titolo, nel filone di moda dei "post apocalittici". Fingleton promette bene, molto bene: la sua regia è secca, il suo film è crudo come dev'essere, osa, ha coraggio, e ha il tipico passo del bel cinema indipendente, quello che non ambisce al grande pubblico, non ammicca e, con una storia di questo tipo, non vedo neanche come potrebbe. Tutto è ridotto all'osso, con tre-attori-tre, il protagonista, un bravo Martin McCann, e le due donne, una ragazzina e una donna di mezza età, in cui si imbatte, durante la sua vita da eremita, da sopravvissuto, in una foresta, dopo un non specificato tracollo della società moderna. E' un film che non ha quasi dialoghi, tutto giocato sui nervi, tesi, dei protagonisti, sulla (poca) fiducia reciproca, sulle basilari necessità umane: il cibarsi, soprattutto, la sopravvivenza e i desideri carnali. La storia, fondamentalmente, è tutta qui, ed è questo, alla lunga, a far calare l'interesse, a lungo andare. La costruzione della vicenda è lentissima, anche se ha un fascino oscuro, come se tutto uscisse da un romanzo minore di Cormac McCarthy. E' un film che necessita di simbiosi, dovete aggrapparvi a qualcosa per non stancarvi a metà. Io l'avrei accorciato, perché gira un po' troppo a vuoto. Resta la bella impressione di Cinema che ci dà Fingleton, che mi rende molto fiducioso sui prossimi film che, sicuramente, girerà. Questo se la cava, ma non è quel capolavoro che cercano di far passare.
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