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Il ventre dell'architetto

Regia di Peter Greenaway vedi scheda film

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La recensione su Il ventre dell'architetto

di Peppe Comune
8 stelle

Stourley Kraklite (Brian Dennehy) è un prestigioso architetto americano che arriva a Roma per allestire una mostra antologica su Etienne- Louis Boullèe, un architetto francese del settecento di cui resta ben poco, soprattutto i suoi disegni sui monumenti funebri che rimangono una grande testimonianza delle utopie dell'illuminismo (progettò il cenotafio di Newton a forma di sfera). Una volta a Roma, Kraklite inizia a sentire dei lancinanti dolori al ventre e scopre di avere un cancro proprio mentre la moglie (Chloe Webb) capisce di essere rimasta incinta durante il loro viaggio in Italia.

 

 

Quella che l'architetto ha per Boullèe è un'ossessione che dal suo arrivo nella città "eterna" trova il suo contraltare in quella per le pancie : la sua, che diventa ricettacolo di morte, quella della moglie, che inizia a custodire la vita, e quelle delle statue, perfettamente immutate nella loro fissità spazio-temporale. Un ventre che schiavizza l'architetto all'interno di un mondo dominato dal culto della forma perfetta, dalla ricerca dell'utopia perduta, un mondo che gli aliena il rapporto con il reale, che addirittura lo allontana dall'oggetto del suo decennale lavoro e che lo conduce al limite della follia. Un'altro ventre, invece, libera la moglie da un rapporto che si era immobilizzato come le statue che contempla il marito, che dimostra la continuità dell'opera dell'uomo attraverso la deformazione di un corpo in gestazione : lo sconfiggere la morte dando la vita. L'incontro-scontro tra corpi che lo spazio ha abituato a diverse prospettive e su cui il tempo incide in modo differente, fa dell'opera di Peter Greenaway una dolente riflessione sull'ossessione per la forma e sulla forma come ossessionante ricerca dell'immortalità, ambientato nel ventre della cultura occidentale, nello spazio che è custode della bellezza sacralizzata dal tempo. Roma mai era stata rappresentata con tale geometrica precisione e con le sue fattezze "marmoree" simboleggia, tanto la simmetria della forma che tende alla eterna perfettibilità dello spazio, quanto, per contrasto, la corruttibilità di corpi che ingrassano, si ammalano, periscono. Retto dalla corporalità "wellesiana" di Brian Dennehy, da una fotografia tendenzialmente raggelante di Sacha Vierny e dalla moderna classicità delle musiche di Wim Mertens e Glenn Branca, "Il ventre dell'architetto" è una lucida escursione nei meandri della psicologia umana condotta con la raffinatezza solita di uno degli sperimentatori più eterodossi della storia del cinema. 

 

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