Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Ennesimo capolavoro di Greenaway che sono riuscito a vedere ieri, 6 novembre 2007, grazie all'iniziativa di una retrospettiva a Poggibonsi (SI): la vicenda al solito è straordinaria, ma qui il regista partorisce un film dominato come non mai dall'incombenza della morte, in quanto il protagonista stesso (un Dennehy magnifico e intenso oltre che perfetto) è colpito da un cancro all'intestino. Il suo ventre diventa l'ossessione del film, insieme ad altri ventri di statue, diventa l'opposto del ventre gravido della moglie; diventa il tramite tra l'architetto e le sue visioni, col suo nume Boullé, col passato storico di Roma e dei suoi imperatori, ma è anche il limite che lo separa dalla moglie, dalla stessa mostra, dai collaboratori, dalla Roma contemporanea. L'Urbe non è mai stata rappresentata così magnifica, opprimente e fagocitante, così cupa e splendente. Oltre al dentro/fuori abbiamo qui ancora il motivo della simmetria, ossessiva in ogni inquadratura e ogni minimo dettaglio visivo-architettonico-pittorico. Il senso di forte malinconia e solitudine scaturisce come sempre dalla forma perfetta e raggelata di ghiaccio bollente ed è evidente nelle lettere che Kracklite scrive al suo Boullé, unico suo amico e confidente impossibile; sconcerta anche il cinismo delle persone che lo circondano, loro sì egoiste e non lui accusato di eccessivo egocentrismo, tema questo sempre attuale per coloro che sono oggi malate e spesso abbandonate. La fotografia di Vierny è magnifica, idem per le musiche di Glenn Branca e Wim Mertens. Infine ricordo la splendida scena d'amore tra Stourly e Flavia, da antologia. 10
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