Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Stourley Kracklite (Brian Dennehy), architetto di Chicago, si reca con la propria moglie a Roma per organizzare una mostra su un semisconosciuto architetto francese, Etienne-Louis Boullèe, che nella seconda metà del XVIII secolo si era contraddistinto più per i propri progetti mai realizzati che per una concreta produzione architettonica.
Poco a poco, però, tutto prende una brutta piega. Kracklite inizia ad avvertire forti dolori all'addome. Sua moglie rimane incinta, ma il loro matrimonio scivola verso un profondo baratro. La mostra su Boullèe diventa sempre più difficile da organizzare, soprattutto per il boicottaggio dell'architetto dongiovanni Caspasian.
La fine di un sogno, l'incompiuto in perfetto "stile Boullèe" si fanno sempre più vicini.
Tutto questo non è che la cornice. "Il ventre dell'architetto" è un film in cui sin dalle prime sequenze traspare un'aura funerea in cui si mischiano sesso, cibo architettura e pittura in un'orgia di colori e di spazi (come consuetudine in Greenaway). Inquadrature da un treno in corsa a cui si alternano amplessi. Stacco e repentina panoramica sulle lapidi di un cimitero italiano. Da qui alla fine un persistente alone necrofilo si fa sempre più evidente.
"Il ventre dell'architetto" è un film che mischia parti autobiografiche di ventri doloranti, di tumori, di gravidanze e di morti. Un ventre che può generare vita, ma che può anche provocare la morte. Un ventre (Roma) che ha generato Arte, ma che contemporaneamente fagocita e annienta quanto gli sta attorno.
Un film che pone Roma come grembo materno dell'Architettura Occidentale. Un inno alla prospettiva, alla sua straordinaria naturalezza. Contemporaneamente, però, un inno all'osare; ad oltrepassare quelle "leggi fisiche" architettoniche, dove appunto l'incompiuto diventa sinonimo di libertà e fuga dalla "materialità" della produzione artistica. Boullèe, quindi, con i suoi progetti irrealizzati diventa il simbolo dell'artista che non ha posto confini materiali alla propria visionarietà. Un artista che è riuscito a far pittura tramite i propri bozzetti dal gusto necrofilo. Un artista, perciò, in perfetto stile Greenaway.
Accompagnato da una (come sempre) sontuosa fotografia di Sacha Vierny in cui il verde e il blu vengono quasi totalmente banditi ("Boullèe li odiava" sbraita Kracklite) e dalle precise musiche diWim Mertens e Glenn Branca, Greenaway esalta la maestosità dell'Architettura romana con la sua tipica "ossessione" per la mdp in oggettiva, che crea contemplazione e senso di distanza allo stesso tempo.
"Il ventre dell'architetto" è più vicino all'immobilismo formale de "I misteri del giardino di Compton House", anche se sono ravvisabili maggiori movimenti (lievi) di macchina. Le sperimentazioni visive fatte di sovrapposizioni in stile videoclip de "L'ultima tempesta" sono ancora lontane, ma ciò non è un un punto a sfavore. Il "Cinema Espanso" greenawayiano, inteso come fuga dal mezzo Cinema e sconfinamento verso l'Arte Totale, diviene qui ne "Il ventre dell'architetto", un qualcosa che non è solo immagine in movimento, ma storia, pittura e architettura. Un ventre che genera vita (e Arte) e allo stesso tempo fagocità riassemblando tutto quanto.
L'architetto come metafora del regista. "'Il ventre dell'architetto' parla, in effetti, dei problemi del regista. Il suo tentativo di mettere in piedi una mostra, come il cercare di realizzare un film,circondato da persone che cercano di fare il tuo bene, ma che probabilmente ti stanno danneggiando; e alla fine, il regista perde di vista la vera, sola cosa per la quale si è sacrificato tanto. L'ironia di tutto ciò è che ogni tentativo di divenire immortali attraverso l'Arte è completamente frustrato. Il grido del bambino alla fine suggerisce che l'uomo non può raggiungere l'immortalità attraverso l'Arte, ma può farlo attraverso i normali metodi di progenitura" Peter Greenaway
Anche qui, poi, è ravvisabile il gioco che Greenaway fa con i numeri. "Il ventre dell'architetto" è il film del numero "9": Nove mesi per la gravidanza; nove mesi di "gestazione" del tumore; nove mesi per la fatale mostra su Boullèe....
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