Regia di Francesco Ghiaccio vedi scheda film
Opera acerba che si riscatta sul tema ambientale e sociale, affrontato con coerente impegno ed efficacia rappresentativa
Essere un’opera prima, un esordio nel lungo, non assolve nessuno.
Anche Citizen Kane fu un esordio nel lungo, se non vogliamo considerare esordio il semi-sconosciuto Too much Johnson. http://www.indie-eye.it/cinema/alcinema/too-much-johnson-di-orson-welles.html
Ma non tutti si chiamano Orson Welles.
D’accordo, con Un posto sicuro non siamo neppure ai livelli del Qui di Gaglianone
(//www.filmtv.it/film/73165/qui/recensioni/805601/#rfr:film-73165), benchè vicini di casa (Val di Susa lì, Casale Monferrato qua).
L’opera è “acerba”, si dice, e non si può non essere d’accordo, l’amalgama fra le sue tre anime non funziona come dovrebbe, e questo fa immediatamente scattare quel riflesso per cui ti sembra più lungo di quel che, in effetti, è.
Ma allora bisognerebbe fermarci a chiederci di cosa parliamo quando parliamo di cinema.
Discorso che porterebbe lontano, mentre qui val solo la pena di notare che Un posto sicuro ha dei pregi indiscutibili e questo, nella post-visione, fa sì che ci si fermi a pensare ai mali di questo Paese.
Sulle tre anime:
la prima è il c.d. “confronto generazionale”.
Luca è un trentacinquenne come oggi se ne vedono a grappoli: piuttosto sovrappeso, rapato a zero sì da sembrare un uovo, un classico DDD, depresso, disoccupato, demotivato.
Beve da strane bottiglie che sembrano acqua o aranciata e invece è alcool, e così dimentica che un giorno decise di darsi al teatro invece di seguire le orme del padre, ieri posto sicuro all’Eternit e oggi mesotelioma con due/tre mesi di vita.
Luca ha finito per fare il clown in festicciole di laurea e simili, la madre è morta da anni e col padre nessun rapporto. Strade opposte che oggi la malattia riavvicina.
Delle tre anime è quella intimista, tenera e amara insieme, ed è trattata con buona mano.
Il merito va soprattutto a Giorgio Colangeli, oltre che ad alcune soluzioni di regia pienamente convincenti (una è quella che fornisce la foto del manifesto).
La storia d’amore, anima numero due, è esile e sfilacciata, con forzature evidenti che suonano posticce, appena abbozzate, poco credibili. Un buon taglio e via, il film ne avrebbe guadagnato, e molto.
A lettere cubitali, invece, campeggia sullo sfondo l’anima tre, quella per cui, come sempre si dice, “questo film dovrebbe girare nelle scuole” (io lo vedrei piuttosto in loop all’ingresso di Montecitorio e della Corte di Cassazione).
E’ il caso Eternit, vicenda mondiale che nel nostro piccolo ha causato qualche migliaio di morti in tempi non lontani nel Monferrato. Ma l’amianto l’abbiamo avuto dappertutto, nessuno si senta escluso, cantava De Gregori.
Buone didascalie sul finale ci raccontano gli step della vicenda giudiziaria, conclusa nel 2014 in Cassazione con l’assoluzione di tutti e nessun indennizzo per nessuno più.
E questo lo racconta il cinema, quel mezzo di diffusione e acculturazione di massa che ancora, oggi, riesce a perforare quel muro di connivenza, omertà e indifferenza che un giorno fece dire a Orwell: “ Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri, traditori, non è vittima, è complice”.
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