Regia di David O. Russell vedi scheda film
Joy (2015): locandina
In the mood for mocio.
L' american way of life è lastricato di idee, possibilità e sporcizia. D'ogni specie: morale, materiale, affaristica, parentale. Basta passarci sopra il mocio miracoloso. Una strizzata, una lavata, e subito in lavatrice il copioso cotone pronto a rassicurare ed investire del candore dei giusti i valori fondativi di una (di quella) società.
La celebrazione dell'uomo - donna! (così ammonisce la didascalia in apertura: «ispirato a storie vere di done audaci») - che si fa da sé, passa attraverso il più classico dei percorsi ad ostacoli di chi, comunque, sappiamo essere destinato/a a grandi cose.
Quante volte, quante benedette volte l'avremo visto. E quella voce narrante, che canta le nobili folli gesta, facendosi portatrice (irritante) di verità (vere, ricostruite, sentenzionse: a chi importa, più?) e risciacqui dell'immaginario ... possibile non ci sia altro oltre la piatta riproposizione di schemi e codici da bravo scolaro hollywoodiano?
No: David O. Russell, il furbacchione, sa benissimo quali siano fattura e natura della sua opera (e l' "urgenza", che non c'è), quindi s'industria per annodare la convenzionale matassa narrativa-filmica con mezzi ed espedienti vari: flashback (numerosi: Joy-piccina Joy-sposa Joy-sognatrice), flashforward (quando la protagonista ormai ce l'ha fatta ma non dimentica le origini), metaforici stacchi sulla soap opera che tiene incollata la lavativa mamma allo schermo della tv, intermezzi onirici (la sé bambina la esorta a non "nascondersi" più: e la Joy adulta riceve e svolta).
Un raccontino moscio sul mocio ritmato a suon di hit come modaiola parabola pop pseudofemminista; e certo, la figura interpretata dall'asso Jennifer Lawrence (sempre luminosa ma non convincente in più passaggi), così caricata di empatiche connotazioni (figlia-(ex) moglie-madre-casalinga-sorellastra: attorno a lei solo individui variamente biasimevoli) suscita istantanea comprensione e simpatia, ma non vi sono ulteriori letture né profondità alcuna che possano elevare la materia dalla sostanziale bidimensionalità contenutistica-estetica.
Linda la superficie, brillante la lucidatura da educata esposizione biografica, bellamente evitati angoli, zone d'ombra e vie di fuga: l'unico sottotesto interessante, d'altronde (la nuova via del fare/percepire commercio televisivo), viene solo sfiorato, ed unicamente per meri fini di ricostruzione/esaltazione del personaggio-Joy. Condizione e meta necessarie evidenziate inoltre dall'ensemble di comprimari in modalità "tutti in riga: sopra le righe" (De Niro, Rossellini, Madsen ... molto meglio la naturale Dasha Polanco, Dayanara in Orange is The New Black).
E prevedibilmente sopra le righe (in senso ormai manierato) rappresentazione e messa in scena: un giochino che, alla lunga, ammorba. Una passata di mocio e il film svanisce.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Una favola moderna sul sogno americano che, NEL SUO GENERE, è riuscitissima. Le prevedibili voci fuori dal coro suonano, a mio avviso, tendenziose e sospette.
A dirla tutta, mi pare che la critica, generalmente, è rimasta freddina, nei confronti di questo film (carino, certo), a cominciare proprio da quella americana. Queste [ http://www.esquire.com/entertainment/movies/reviews/a40735/joy-review-jennifer-lawrence/ -
http://www.cineforum.it/Reviews/view/E_Joy_prese_il_fucile ] ne riassumono un po' ...
A me il film è piaciuto, e parecchio, anche se nell'ultima parte sbanda un po', probabilmente perché condizionato dalla vera Joy Mangano (è sempre complicato mantenere coerenza narrativa quando ci sono di mezzo personaggi veri). Ma il film è brillante, la definizione dei personaggi riesce con pochi tocchi, la recitazione è come sempre eccellente. Non è ai vertici di Russell, ma è sicuramente nel suo stile, un altro pezzo del suo mondo: un'America quotidiana un po' pazza, che oscilla tra il Sogno e la depressione, la riuscita e la marginalità. A me non interessano in modo particolare i film che ostentano un'esteriore ricerca di linguaggio: di solito durano lo spazio di una modam vengono celebrati e poi dimenticati (ricordiamoci le schifezze pretenzionse degli Hal Hartley, che riempivano i festival...). Mi interessa chi sa esprimere un suo mondo, e questo film secondo me lo fa: da Fighter in poi, Russell ha trovato una sua maturità. Poi ci sta che un film gli riesca meglio (American Hustle) e un altro un po' meno come riuscita complessiva. Ma lo metto tra le cose che più mi hanno incuriosito nella stagione.
Questa volta devo darti ragione Gregorio.Appena visto e sostanzialmente deludente,una fiabetta in perfetto stile hollywoodiano,una seconda parte incerta e confusa ,che non poteva chiudersi.....come effettivamente si e' chiusa.....amen
Il tempo ci ha già dato ragione ... D'altronde, però, l'accoglienza critica è sta fredda sin da subito. Ciao.
Opinione estremamente ben fatta (come sempre).
Da parte mia, io non credo che l'intenzione fosse quella di smacchiare con nonchalance la sporcizia (morale, materiale, affaristica e parentale come giustamente dici tu) che emerge con prepotenza (anzi, tutt'altro), tanto più approfittando del tipo di opera dell'ingegno oggetto del contendere (ironia caustica sempre azzeccata la tua).
Certo il tipico American way of life rimane interamente come trave portante del film. Ma quello è più che altro un vizio (se lo si vuole vedere così) genetico, del quale tenere conto fin dal principio.
Un saluto!
Commenta