Regia di David O. Russell vedi scheda film
Il senso di Russell per il domestico: è sempre una questione di famiglia, di rapporti malsani (The Fighter), analogie ereditarie (Il lato positivo), ambizioni sbagliate (American Hustle), la tana dei sognatori repressi, l’esemplificazione delle disfunzioni nazionali, il covo che soffoca il sogno americano. Joy come vittima del sistema-famiglia, referente dell’annichilimento partorito da un parentado spudoratamente sopra le righe. La sopravvivenza gliela concede la possibilità onirica della vita ordinaria: la tv che è in noi, quella quotidiana delle soap opere infinite, si fa scenario delle rivelazioni esistenziali, le epifanie di Joy come i colpi di scena dell’interminabile serie concepibili soltanto dentro il kitsch delle pettinature cotonate e le giacche con le spalline in saloni scintillanti.
Immaginare la vita di Joy come l’estratto di una soap opera all’epoca della quality tv, un esercizio nostalgico come lo è tutto il nuovo cinema di Russell, che guarda al passato nella prospettiva più americana che c’è: ripercorrere la Storia che la nazione senza Storia si è creata per capire il presente – o semplicemente per idealizzare il passato. Qui il passato ha la sostanza dei classici di Capra, l’evocazione rooseveltiana dell’american dream dopo la grande crisi: una via di fuga parallela o addirittura attinente a quella onirica. La sua famiglia e altri animali, rovescio del sogno, disgregazione: madre sociopatica, padre infantile, ex marito inetto, sorellastra vanagloriosa, matrigna diffidente, e poi la nonna, voce narrante in tutti i sensi sul viale del tramonto, fiduciosa, premurosa, demiurgica. Prima di inventare cose, Joy è condannata ad aggiustarle.
Nel melodramma in potenza, l’ingresso in scena dell’affascinante produttore illude sull’idea di una possibile salvezza data dall’amore: ma questa è una commedia che può declinarsi nel dramma con un sottotesto grottesco spesso ingombrante e non sempre contiguo con la parabola correttamente edificante. La salvezza è il genio creativo, il talento che ti rende unico, il mito della donna che si è fatta da sola nonostante un retroterra problematico. Che fine fanno i sogni quando ci scontriamo con la realtà? Film complesso e stratificato, Joy è la sublimazione di un mondo che ha compreso la soap opera nel suo statuto e di cui giocoforza mantiene i difetti: il coro di caratteri assurdi difficili da contenere per non sommergere l’eroina, le scene-chiave dominate dall’eccesso, la semplificazione della risoluzione finale.
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