Regia di Nicholas Hytner vedi scheda film
E’ un esempio della miglior commedia britannica il film sull’inusuale e tempestosa “convivenza” tra il commediografo inglese Alan Bennett e la senzatetto che si stabilì col suo furgone per ben 15 anni, dal 1974 al 1989, nel vialetto di casa sua. La donna, Margaret (o Mary?) Shepherd, eccentrica e dal passato misterioso, vagava con il suo furgone lungo le strade del quartiere residenziale di Camden Town, dove gli abitanti, pur ritenendo un fato molto triste che una donna anziana e mentalmente fragile dovesse vivere in un furgone lungo la strada, erano terrorizzati dall'ipotesi che decidesse di parcheggiare di fronte a casa loro. Anche perché la signora non faceva nulla per rendere piacevole la sua presenza, con la sua scortesia, ingratitudine e avversione per i bambini e per la musica, per tacere della carenza di igiene. Alla fine sarà il solitario scrittore a cedere, per una sosta che avrebbe dovuto essere temporanea ma alla fine si prolungherà per un quindicennio, fino alla morte della donna. Nel 1999 Bennett baserà su questa singolare esperienza un’opera teatrale, interpretata già allora da Maggie Smith sui palcoscenici del West End, che oggi diventa un film per la regia di Nicolas Hytner, che già in passato ha trasposto opere di Bennett sul grande schermo.
I punti di forza della commedia sono sicuramente la sceneggiatura e l'interpretazione di Maggie Smith. La sceneggiatura, tratta dalla pièce teatrale del 1999 adattata dallo stesso Bennett, costruisce una commedia briosa, senza momenti morti né parentesi lagnose, ma al contrario ricchissima di ironia british, centrata sulle divertenti bizzarrie della Shepherd e le sue esilaranti quanto sconclusionate affermazioni nonché sui duetti tra lo scrittore e la sua “ospite”. Con una buona costruzione dei personaggi, mantiene sempre alto l’interesse sulle peripezie della protagonista e sul progressivo disvelarsi del suo oscuro passato. Interessante anche l’idea di dar vita a due Bennett, uno che vive la vita e un altro che ne scrive, in dialogo, a volte pungente, tra loro. Solo la scena dell’”ascensione” verso il finale lascia un po’ perplessi, il resto è di alto livello.
Straordinaria è l’interpretazione di Maggie Smith, che non teme di mostrarsi disfatta, lercia e rugosa per dar vita a un personaggio fuori dal comune, non certo la classica barbona dal cuore d’oro da film Disney, ma una donna spesso sgradevole ed intrattabile, sudicia, maleducata e scontrosa, incapace di ringraziare chi la aiuta, anzi ostile verso il vicinato (“I am a very busy woman!” è la brusca e assurda risposta data a brutto muso a chi le rivolge la parola attraverso i finestrini del furgone) , ma testardamente decisa a ad imporre le sue astrusità (come quella di dipingere di giallo tutti i suoi furgoni, utilizzando però una vernice non adatta che lascia un residuo grumoso) che sostiene siano addirittura consigli di origine divina. La barbona è infatti una fervente cattolica, con un passato da novizia in un convento di suore, ma la sua fede sembra profondamente legata al senso di colpa per un peccato inconfessabile che è convinta di aver commesso anni prima, e che è all’origine della caduta di quella che si scoprirà essere stata una donna un tempo istruita e di talento.
Attraverso la sapiente costruzione del personaggio, i suoi gesti ed i suoi sguardi e le sue taglienti battute, la Smith costruisce una figura potente nella sua (anche sgradevole) verità, sapendo farci ridere delle bizzarrie della Shepherd senza far venir meno la compassione per una donna tanto sfortunata. L’Oscar sarebbe strameritato.
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