Regia di Oliver Stone vedi scheda film
C’è una scena in “Snowden” che mette davvero i brividi. Quando su maxischermo il protagonista, collegato in video conferenza con il superiore O’Brian (interpretato da un inquietante Rhys Ifans) confessa di aver utilizzato un programma di sorveglianza governativo senza autorizzazione. La soggettiva è opprimente, il volto di gigantesco di O’Brian sovrasta il piccolo Snowden, mettendo in chiaro il rapporto di forza, saturando l’inquadratura e risucchiando di essa l’ossigeno: un abbraccio virtuale , tentacolare ed opprimente che manda in asfissia anche lo spettatore.
Probabilmente Stone aveva questo in mente: descrivere il disagio emotivo generato da un abuso. Non c’è controllo giustificabile quando è solo una questione di potere, quando la sicurezza rimane purtroppo una chimera, persa in miliardi di byte. Controllo dunque sono, questo il motto degli States, che affermano la propria identità attraverso la manipolazione: Edward Snowden, tecnico informatico della CIA non ci sta, e denuncia al mondo intero tutto ciò.
Stone racconta la sua storia calcando in parte la via dell’agiografia, entrando parecchio in dettagli tecnici che non aggiungono nulla al film (gli era già capitato nel capitolo due di Wall Street), anzi ne affossano un bel po’ il ritmo, che però subisce un impennata nell’ultima mezz’ora. Un cinema umanista che si ferma a metà, spiegando di fatto solo nel bel finale il perché di tutto ciò.
Certo non si può rimanere indifferenti davanti alla figura virtuosa e senza macchia di quest'uomo snobbato dall’amministrazione Obama e relegato senza troppi problemi in Russia, paese generoso nel trattenerlo (chissà perché) ancora per anni.
Un paio di passaggi alla Stone ci sono, nel complesso però il film non è memorabile.
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