Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Edward Snowden, eroe o terrorista?
Questo si chiedono i media nell’immediatezza dello scandalo, con le dovute proporzioni e con un pizzico di malizia si potrebbe fare la stessa domanda su Oliver Stone e sul suo cinema militante, un cinema che da più di quarant’anni continua un radicale percorso tematico senza esitazioni né dubbi.
C’è chi sostiene con molta cattiveria che Stone sia entrato nella giungla del Vietnam per non uscirne più, ma è chiaro che ci troviamo di fronte ad un’affermazione senza capo né coda, degna di una critica in malafede da sempre “fedele compagna” del grande regista americano.
Si, grande.
Per me lo è sempre stato e lo è tuttora, ovviamente tra naturali e inevitabili alti e bassi, film sbagliati e capolavori incompresi, Stone è sempre stato un regista in guerra (prima di tutto con se stesso), convinto delle sue idee anche quando erano sbagliate e pronto a metterci la faccia, sempre e comunque.
Regista dichiaratamente politico, schierato nella sua trincea fangosa e scomoda, e allora?
Alla fine non lo sono tutti?
Certo, ognuno con le proprie ossessioni, storie da raccontare, incubi da esorcizzare, percorsi da seguire, Stone fin dagli esordi guarda il suo paese e ne racconta senza sconti i lati oscuri, le contraddizioni, i misteri, la natura violenta e gli scandali.
All’America più conservatrice non è mai piaciuto e non poteva essere altrimenti, del resto se fai un film come Snowden non ti fai ben volere, perché sembra incredibile ma molti americani considerano il giovane ex tecnico della CIA una spia e un terrorista, l’uomo che ha reso pubbliche informazioni riservate, l’uomo che ha “sputtanato” il Governo americano davanti al mondo, l’uomo che ha fornito ai giornalisti del Guardian tutto il materiale necessario a far scoppiare uno degli scandali più importanti degli ultimi anni.
PRISM, Tempora, Muscular sono nomi di programmi di tracciamento sconosciuti ai più, programmi senza filtri che nella segretezza del post 11 Settembre l’amministrazione Bush e poi quella di Obama utilizzavano per controllare miliardi di persone in tutto il mondo, telefoni, PC, e-mail, internet, un gigantesco affresco Orwelliano nel quale Edward Snowden ha avuto ruolo attivo e centrale, fino a quando non decide di uscire dal “sistema” e di rivelare tutto alla stampa.
Nel 2014 era già uscito il documentario premio Oscar Citizenfour di Laura Poitras (qui interpretata da Melissa Leo), il film di Stone si pone naturalmente su un binario diverso, quello che unisce il biopic e il thriller politico puntando sul realismo drammatico e sullo scavo psicologico, le basi per la costruzione del soggetto sono principalmente due, il libro scritto da Anatoly Kucheren (l’avvocato russo di Snowden) e The Snowden Files sull’esperienza di Luke Harding corrispondente del Guardian.
Stone racconta la storia di questo genio dell’informatica cercando di fornire un quadro il più chiaro possibile sulle ragioni che lo hanno spinto ad un gesto tanto eclatante quanto pericoloso, attraverso l’utilizzo dei flashback ripercorriamo il cammino del protagonista dal 2004 al 2013, ossia da quando si arruola nell’esercito, poi abbandonato a causa di un grave incidente (si rompe entrambe le gambe), fino a giungere a Hong Kong sede dell’incontro con i giornalisti, nel mezzo gli anni al servizio del governo, CIA e NSA, gli anni in cui guidato dal suo mèntore Corvin O’Brian (un glaciale Rhys Ifans) Snowden scopre che dietro una realtà ufficiale ne esiste un altra segreta, un mondo fatto di programmi invasivi e hacker, un mondo dove nulla è inaccessibile e la vita di tutti può essere spiata, controllata e manipolata.
Stone riscopre il piacere di raccontare e lo fa seguendo un punto di vista chiaro e inequivocabile, la figura di Snowden (Joseph Gordon-Levitt) è totalizzante, il perno sul quale si regge l’intero plot che ha tuttavia l’ambizione di andare oltre il semplice resoconto giornalistico, la banale ricostruzione degli eventi, l’obiettivo reale è quello di presentare un mondo dove la tecnologia si è sostituita alle armi e dove le guerre fra le super potenze si combattono nel cyberspazio a colpi di programmi spia.
La storia di Snowden è un frammento di un disegno ben più ampio e inquietante, è un’anticipazione di un futuro che è già presente, basta seguire gli attuali fatti di cronaca estera e le indagine dell’FBI su probabili interferenze russe nell’ultima campagna presidenziale americana.
Oliver Stone non ha dubbi e dichiara “I governi destinano denaro pubblico ai programmi più aggressivi. L’America ha sempre bisogno di un nemico da combattere e ogni volta cerchiamo false giustificazioni per intervenire: per l’Iraq erano le armi di distruzione di massa, per la bomba atomica era che i giapponesi avrebbero resistito all’infinito. In questo caso è il terrorismo...oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante ed entrare nelle nostre vite è ancora più facile. L’operazione è gigantesca, molto costosa ed è portata avanti senza il consenso democratico”.
Amen.
Tutto abbastanza condivisibile dal mio punto di vista ma il problema è chiaramente di proporzioni globali, come ti difendi da un nemico che non puoi vedere?
Il confine tra difesa e attacco diventa talmente labile che alla fine scompare, è la nuova frontiera di una guerra invisibile che si combatte ogni giorno, perché al di là delle rivelazioni di Snowden e di tutto quello che ne è seguito dubito fortemente che certe cose siano cambiate.
Il film nella sua dimensione di puro intrattenimento funziona molto bene, Stone non ha perso la mano e pur affrontando un tema difficile e di non immediata fruizione riesce a coinvolgere lo spettatore, nella storia personale dell’informatico redento e in quella ben più ampia che delinea gli oscuri scenari contemporanei.
Ottima la direzione degli attori e ottima la scelta del cast, Joseph Gordon-Levitt, Melissa Leo, Tom Wilkinson, Timothy Olyphant, Rhys Ifans, Nicholas Cage, protagonisti e comprimari di un racconto che guarda alla recente attualità ponendo domande scomode alle quali non sempre è facile trovare risposte.
Voto: 7.5
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