Regia di Jodie Foster vedi scheda film
Una puntata di The Newsroom venuta (molto) male.
Diluita nella forma, (iper)concentrata la sostanza: in fondo bastano pochi minuti, il coraggio di una donna giovane e bella che si sente tradita (non è mai piacevole scoprire l'acqua calda, ovvero la natura criminale di un bastardo lupetto di Wall Street) e due simpatici hacker in quel di Reykjavík per svelare - al mondo intero collegato via etere - una complessa operazione finanziaria intercontinentale che ha fagocitato centinaia di milioni di dollari degli azionisti.
Il tutto in tempo reale: ossessione del(l'eterno) presente, onnipresente moda di ogni medium che spaccia verità (scritta).
Banalmente, cinema che si adegua al linguaggio, all'imperativo della "realtà" in presa diretta; ma con i toni adulti e la confezione "educativa" di chi vorrebbe denunciare chissà quali devianze del sistema economico-mediatico.
E sfruttando i medesimi meccanismi ed espedienti tendenti al sensazionalismo e alla spettacolarizzazione di massa per le masse dell'evento in trending topic: così le ambite riflessioni sulle perverse vie dell'informazione (non solo spazzatura ma pure pericolosa) nonché sul costantemente odiato regime dell'alta finanza (liquida, sempre più veloce, sempre più virtuale) si fanno estemporanee sparate da talk show, grossolana fatua materia di "pensiero" via social, disperdendo pertanto ogni forza ed efficacia residua.
Non basta cianciare di (m)isterici algoritmi - pare non se ne possa fare più a meno - né giocare la carta "caso umano" (che poi il tizio più che di bomba e pistola è armato di idiozia: se investi spericolato in azioni dal grande rendimento dando retta a un cialtrone in tv non sei esattamente un genio né una vittima), così come nuoce abbandonarsi furbescamente a generici atti d'accusa che sollevano facili beceri moti d'indignazione collettiva.
Scrittura approssimativa, pretestuosa, tracimante nelle dimensioni del ridicolo, in particolare non appena l'azione si sposta dallo studio televisivo - e fin lì tutto sommato Money Monster regge, per ritmo tensione e narrazione - per abbracciare strada e assurdità.
Film ricco di situazioni, facce, svolte (in zona dramma con morale dominante), risoluzioni (l'abbraccio e dialogo sul finale tra divo ovviamente maturato d'un colpo e regista saggia ma anche plenipotenziaria - ricoprendo in sé anche vesti e funzioni di superproduttore - è roba assai mesta), tematiche, personaggi, intermezzi leggeri, dialoghi da codice binario e ad alto tasso di derivatività.
Jodie Foster regista fa quel che può (ma non è Michael Mann) dovendo inoltre fare da badante alla predominante componente divistica: una sovrastruttura innecessaria - George&Julia (malacopia di Jeff "Will McAvoy" Daniels ed Emily "Mackenzie McHale" Mortimer: non è nemmeno lo stesso campo da gioco) - che diventa fardello e motivo distraente.
Film modesto e molesto. Non rimane niente.
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