Regia di Ryan Coogler vedi scheda film
Fin dall'annuncio della sua realizzazione ho sempre avuto qualche pregiudizio verso questa produzione, probabilmente dettato soprattutto dal ricordo e dalla nostalgia di una saga che mi ha accompagnato da bambino e che mi ha portato a considerarlo esclusivamente come una mera operazione di maquilagge, l'ennesima riproduzione e aggiornamento di tematiche viste e straviste rispolverate aggrappandosi a un cinema di successo del passato come motore e viatico per un successo più attuale, un esempio su tutti l'enorme riscontro di pubblico dell'ultimo capitolo della saga di Star Wars, un'operazione nostalgia che, nonostante storie diametralmente diverse, questo Creed ricorda per tanti motivi.
Mi sbagliavo. Almeno in parte.
Intendiamoci, Creed è anche (e soprattutto) questo: un'operazione commerciale che, furbescamente, tenta di aggiornarne la storia trasferendola dal sobborgo proletario italo-americano di Philadelphia degli anni 70 al mondo arrabbiato e in ascesa degli afro-americani losangeliani dei giorni nostri, anche con la probabile/evidente intenzione di allargare ulteriormente il potenziale pubblico.
E dietro a tutto questo anche una mancanza di coraggio e di crisi di idee o altrettanti argomenti triti e ritriti sul mondo del cinema attuale che ormai tutti conosciamo ma che, per quanto anche veritieri, non sempre risultano completamente esaustivi.
E proprio di questo Creed potrebbe esserne un fulgido esempio.
Creed infatti non è un vero e proprio spin-off in quanto assomiglia soprattutto ad una specie di Rocky 7 fatto e finito.
Giustamente tenta di prendere le distanze da Rocky (o cerca almeno di farlo credere) ma in realtà di Rocky non può farne a meno e non è un caso che si sia deciso di non puntare su un vero e proprio remake/reebot (e in questo l'iconicità del ruolo e del suo interprete, indissolutamente legati, ha svolto un ruolo fondamentale) anche se il film in parte ne assolve le funzioni seppur in un modo del tutto particolare.
Creed non si emancipa minimamente dalle convinzioni di genere, anzi ricalca quasi alla lettera molte situazioni e tematiche, deludendo coloro che speravano in un franchise che si aprisse a nuove direzioni ritrovandovi invece vecchie litanie, dalla formazione del campione in cerca di riscatto (più personale che sociale, in questo caso), al vecchio allenatore anche insegnante di vita fino alla lotta per il titolo culminato in un emozionante (quanto improbabile) combattimento all'ultimo sangue.
Passaggi obbligati che, liberatosi di certi elementi socio-politici e di scontro generazionale presente nei primi capitoli, si sposano perfettamente con un'esaltazione dell'autorealizzazione attraverso la propria forza di volontà molto American Style.
E' vero che Creed inizia cercando di proporre un'originalità parziale ma questa si smarrisce come neve al sole con l'entrata in campo di Rocky/Stallone e dal quel punto il film riprende inevitabilmente l'epos della saga di Balboa procedendo poi per accumulo di eventi e personaggi, anche solo nominati, imprescindibili al personaggio, a cominciare dal tema musicale di Bill Conti (anche se sfrutatto poco e male, secondo me).
Ma, nonostante tutto, è comunque un film con un cuore, avvincente e commovente, che omaggia l'invenzione di Sly Stallone in ogni modo possibile, e da cui si evince l'enorme passione e il rispetto per il personaggio da parte del suo regista e sceneggiatore Ryan Coogler nell'assecondarne/omaggiarne il mito, anche attraverso i rimandi o la semplice struttura di un'opera così similare all'originale.
Ma, come detto prima, Creed è sintomo anche di altro.
Forse come altre operazioni simili, opportunismo a parte, è la dimostrazione di un cinema che, al giorno d'oggi, si guarda allo specchio e si scopre improvvisamente invecchiato e, come già successo in passato, avverta inevitabilmente la necessità di reinventarsi, di cambiare nuovamente aspetto pur sforzandosi, caparbiamente, di rimanere comunque se stesso, aggrappandosi disperatamente al passato non solo per celebrarlo ma anche per lasciarselo finalmente alle spalle confrontandosi direttamente con la propria storia e i propri "padri" arrivando anche a cercare di esorcizzarli, autogenerandosi affrontando e soprattutto sconfiggendo il proprio passato con lo scopo di dimostrare a se stesso di poter competere con loro.
Buona la prova e l'impegno anche fisico del protagonista Michael B. Jordan come anche degli altri interpreti (Tessa Thompson, Phylicia Rashàd, Tony Bellew e Andre Ward), ma è soprattutto il personaggio di Sylvester Stallone e di un Rocky vedovo, invecchiato (male) e malato a risplendere di una luce del tutto particolare grazie a un film che (diciamocelo) non è soltanto la celebrazione di un personaggio cinematografico ma anche soprattutto (?!) del suo iconico interprete.
VOTO: 7
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