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Creed - Nato per combattere

Regia di Ryan Coogler vedi scheda film

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La recensione su Creed - Nato per combattere

di nickoftime
6 stelle

Un attimo prima che si concluda la sequenza iniziale, "Creed - Nato per combattere" ha già messo in mostra quelle che saranno le proprie credenziali. La scena, ambientata all'interno di una sorta di riformatorio, ci mostra il protagonista ancora bambino impegnato in una rissa con un gruppo di pari età. Seppure in una condizione di evidente minoranza, il piccolo Adonis riesce a difendersi sbaragliando i suoi avversari. Nel giro di pochi fotogrammi il film diretto di Ryan Coogler è in grado di anticipare le coordinate essenziali dell'eroe, definendone insieme le caratteristiche caratteriali, temprate dal fatto di doversela cavare con le proprie forze, ed esistenziali, messe in mostra nelle capacità fisiche e agonistiche espresse nel corso dell'azione. A distanza di qualche anno e grazie alla macchina del tempo di cui solo il cinema dispone, lo ritroveremo non a caso a lottare per il titolo mondiale accanto al vecchio Rocky Balboa che, dopo aver appeso i guanti al chiodo e avere detto addio al mondo della boxe torna sul ring per fare da coach al figlio del mitico Apollo, con cui aveva condiviso quattro dei sei episodi della saga dedicata al pugile venuto dal Bronx. E qui entra in gioco uno dei motivi principali del film, che è appunto il ritorno sulle scene del pugile inventato da Stallone nel 1976, riesumato dall'oblio (Rocky Balboa, 2006) al quale si era concesso per mano del suo creatore allo scopo di aiutare il figlio dell'amico tragicamente scomparso (Rocky IV, 1985).

A metà strada tra il cinema sportivo e il racconto di formazione "Creed - Nato per combattere" si comporta allo stesso modo del mitico predecessore, fino al punto da sembrarne una specie di reboot sotto mentite spoglie. Sostituendo la faccia dell'attore italo americano a quella del Mickey di Burgess Meredith e aggiornando lo scenario ambientale, adeguato a quell'America post 11 settembre che a livello politico ha cercato di darsi un'immagine conciliante rispetto ai temi dell'integrazione e della giustizia sociale, "Creed - nato per combattere" assomiglia al remake del film di John Avildsen non tanto per gli inserti relativi ai combattimenti pugilistici, che tranne casi rari - per esempio "Cinderella Man" di Ron Howard - si equivalgono nella resa esasperata e poco verosimile degli aspetti legati alla violenza agonistica della tenzone, ma per quella predisposizione a tenersi un passo indietro rispetto al ring, riservandosi il diritto di trasformare il quotidiano in un'autentica palestra di vita, quella si determinante a forgiare le qualità dei futuri campioni. Sotto questo aspetto, è soprattutto l'empatia messa in scena da Stallone più che la verve del suo pigmalione, a trascinare il film dalla parti di una mitologia cinematografica alla quale la faccia dell'attore, provata dal tempo e forse dai lifting, riesce ancora a incarnare. Così, in un film che procede a velocità di crociera verso la catarsi finale e in direzione del fatidico incontro che oltre alla gloria metterà mette in palio il riscatto del trascorso esistenziale del protagonista, gli unici sussulti sono costituiti dalle scene che coinvolgono il vecchio campione, a cui la sceneggiatura assegna forse la battaglia più difficile della sua lunga carriera, con la malattia che a un certo punto sembra toglierlo di scena in maniera definitiva. Coogler che aveva già diretto Jordan nell'ottimo "Fruitvale Station", qui si accontenta di rispettare la filologia dei contenuti , informando il suo film con una regia (invisibile) che procede nel solco di un intrattenimento in cui nostalgia e spettacolo riescono tutto sommato a convivere. E non ultimo, a far sperare a Stallone, peraltro appena premiato con il Golden Globe come miglior attore non protagonista, in un Oscar che a questo punto appare piuttosto probabile.

(pubblicata su ondacinema.it)

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