Regia di Enrico Maisto vedi scheda film
Nei primi anni 80, i gruppi armati rivoluzionari avrebbero deciso di uccidere il giudice di sorveglianza del carcere di San Vittore, Francesco Maisto. Ma qualcuno di Lotta continua si sarebbe opposto: era Felice, che con Maisto intratteneva discussioni al Mulino doppio, luogo di ritrovo per giudici e terroristi, poliziotti e ribelli. Enrico, figlio di Francesco, intraprende un percorso a due piste seguendo in parallelo il presente quotidiano e le memorie storiche del padre e di Felice. Due individui agli antipodi, due interpreti moderati di un periodo in cui l’estremismo fagocitava il dialogo. Oggi come allora, c’è molta confusione nell’ex membro di Lotta continua, che illustra come lanciare molotov e spiega che «sparare era una moda», afferma di essere stato «per la vita, non per la morte», ma anche di non avere mai sparato semplicemente «perché mi è mancato il coraggio». «L’immagine che mi ero formato di te era quella di un personaggio uscito dai libri di García Márquez», gli dice il regista: la realtà offre invece un uomo comune, minuscolo anticorpo mediatore di un milieu deteriore, controcampo di un giudice che osò opporsi al sistema carcerario istituzionale proponendo soluzioni umane, piuttosto che repressive. Mentre la domanda centrale (perché Maisto fu salvato? Faceva comodo? Era un pesce troppo piccolo?) rimane senza risposta, emerge il caos ideologico di un’era che ha lasciato il segno su chi è venuto dopo.
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