Regia di Tom Hooper vedi scheda film
Redmayne e Vikander uniche note liete di un film lungamente incerto (per sceneggiatura e regia) e incapace di andare al di là dei classici cliché di un film su un pioniere dell’omosessualità.
Dramma umano e sociale nella Danimarca di inizio ‘900, in cui la storia dell’omosessualità non più latente, ma orgogliosamente manifesta del pittore Einar Wegener viene sviluppata, a partire dal romanzo di David Ebershoff.
L’idea che muove il personaggio è chiara: piuttosto che rimanere se stessi nel corpo di qualcun altro, meglio la morte. Il messaggio del film invece non lo è altrettanto, così preso a rimanere equilibrato tra il dipinto agiografico di un pioniere dell’omosessualità e la condanna ad una medicina rozza ed incapace, in cui solo un coraggioso dottore ripudiato dalla scienza ufficiale capisce la tragedia interiore del protagonista. La parte migliore del film è la prima, quando la vera natura di Einar si palesa prima per scherzo, e per la complicità involontaria della moglie Gerda (una splendida Alicia Vikander), poi sempre più consapevolmente per entrambi i coniugi, con una metabolizzazione della nuova realtà infarcita di paura mista ad amore incondizionato.
La sceneggiatura non ha picchi, emoziona certo, ma per via di un soggetto che unisce amore, ribellione, morte. Ancor più piatta la regia, che si limita ad accompagnare la bravura degli attori, credendola sufficiente, insieme allo scritto di Ebershoff, a rendere “The Danish girl” un film indimenticabile.
Da sottolineare la prova di Eddie Redmayne, che abbiamo imparato a conoscere quale finissimo camaleonte, un trasformista capace di passare da un astrofisico tetraplegico contemporaneo ad un inconsapevole omosessuale di un secolo prima, con la medesima disinvoltura che lo candida al ruolo di novello Depp.
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