Regia di Tom Hooper vedi scheda film
L’idea principale del cinema di Tom Hooper è finora facilmente ravvisabile in tutti i suoi quattro film nel mainstream: collocare ai margini del quadro il personaggio a disagio in uno spazio ostile, diciamo “in cattività” (dal vulcanico allenatore del Leeds al re balbuziente fino al canto della miserabile Fantine). Anche qui il suo sguardo coglie il protagonista lateralmente, suggerendo quasi una fuga dal quadro (e quindi dal mondo) invece in qualche modo dominato dalla moglie, la cui figura sembra spesso essere il perno attorno a cui si edifica il loro appartamento. Può bastare questa marca autoriale per conferire a The Danish Girl una potenza espressiva al di là del coinvolgimento emotivo e forse un’autenticità che vada oltre la mimesi?
In questo film così impeccabile e ordinato, quasi nulla sa coordinarsi al potenziale veramente drammatico della vicenda, il melodramma resta un’ipotesi di messinscena risolta nel polpettone fino alla maldestramente ricercata tensione al sublime del finale lacrimevole. Eppure il biopic è un genere che Hooper sa maneggiare con cura, come ha dimostrato con Il maledetto United e Il discorso del re, manipolando la materia in funzione dello spettacolo d’autore (il primo era una catabasi sullo sport meno cinematografico, il secondo raccontava l’emancipazione del meno emancipabile tra gli uomini) – e il biopic è forse il genere che più ha bisogno di un’impronta personale per affrancarsi dalla didattica esposizione di una vita straordinaria.
Soffocato dalla sua pur attendibile estetica e da una corretta ricostruzione storica, The Danish Girl è un film lezioso, illustrativo (ma anche un film sulle immagini e sulla rappresentazione, sugli specchi che immaginano e sui quadri che filtrano altri da sé), senza nerbo né voce, che sconta la sovra-recitazione dell’oscarizzato Eddie Redmayne, la cui mimesi è apprezzabile fintanto che non s’abbandona ad un vanesio repertorio di smorfie francamente insopportabile, e la musica ormai invariabilmente applicabile a qualunque period movie di Alexandre Desplat. All’attivo può vantare l’ottima resa di Alicia Vikander, cuore della storia perché involontario motore della metamorfosi e necessaria compagna di vita immolata all’amore, e i costumi di Paco Delgado: al netto della raffinatezza fattuale, essi assumono una funzione fondamentale nella presa di coscienza della donna nascosta dentro l’uomo.
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