Regia di David Lynch vedi scheda film
Il maggior difetto di Velluto blu risiede, secondo me, in un happy ending posticcio e probabilmente imposto da un produttore - Dino De Laurentiis - che aveva già massacrato la riduzione lynchiana di Dune. In questo senso, a parer mio, Velluto blu è un buon film, ma è un'opera di passaggio perché Lynch vi riprende temi ed ossessioni del suo lungometraggio d'esordio, Eraserhead (come testimonia la presenza inquietante di Jack Nance, che ripete ossessivamente «io sono Paul»), senza però avere la forza, produttiva e contrattuale più che artistica, di andare fino al fondo del proprio discorso. Va comunque detto che il regista assesta qualche piccolo colpo di piccone allo stereotipo dell'american way of life in piena epoca reaganiana. In questo contesto, il film di Lynch si potrebbe concludere dopo la bellissima sequenza iniziale, nella quale il padre del protagonista è colpito da un attacco cardiaco mentre innaffia il pratino all'inglese con la sistola davanti casa. L'uomo cade a terra in un'atmosfera soffusa, nella quale il contorno sembra restare indifferente alla tragedia umana che gli sta avvenendo accanto. Dopo di che la macchina da presa comincia a muoversi rasoterra, insinuandosi tra i fili d'erba di quel pratino, scoprendo un microcosmo fatto di marciume, violenza e sopraffazione (tra gli insetti che vivono tra l'erba e lottano come in un film di Buñuel) che normalmente resta invisibile, nascosto dietro al lavoro della mano levigatrice dell'uomo. Ecco, questa sequenza racchiude in sé tutto il senso dell'opera, anche successiva, di Lynch, in barba alle intenzioni e ai diktat di De Laurentiis.
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