Regia di Jack Lemmon vedi scheda film
L'unico film da regista nella formidabile carriera del grande Jack Lemmon non poteva che avere per protagonista il complice ed amico di tante avventure cinematografiche, il mitico Walter Matthau. "Kotch" (meglio soprassedere sull'indecoroso ed inqualificabile titolo italiano, formulato come un ridicolo ed insensato annuncio di giornale, data la trama) è tratto dall'omonimo romanzo di Katharine Topkins e sceneggiato da John Paxton (già autore di titoli cult come "Il selvaggio", "Odio implacabile", L'ombra del passato" e "L'ultima spiaggia") ed è tutto costruito sull'istrionismo travolgente, ma moderato, frizzante ed esuberante ma mai sopra le righe od invadente del suo interprete principale, quasi sempre in scena. Walter è l'immagine del nonno perfetto, quello che tutti i nipoti vorrebbero avere per giocarci insieme e trascorrere lunghe e piacevoli giornate in compagnia. Basterebbero i dolcissimi titoli di testa per fare del film un inno, straordinario e dovuto, all'importanza e alla necessità dei nonni, per i quali in Italia è stata anche istituita, di recente e giustamente, una festa nazionale da celebrarsi il 2 ottobre: sulle note di "Life Is What You Make It" (Golden Globe e nomination all'Oscar come miglior canzone - vinse la celeberrima "Shaft" di Isaac Hayes) si vede un nonno premuroso, paziente ed affettuoso che porta il felice nipotino alle giostre, poi al parco, quindi a fare la spesa al supermercato, infine alla tavola calda a mangiare. Una presenza costante e preziosa che suscita però le gelosie ed il fastidio della nuora, quasi seccata dal profondo legame tra figlio e suocero, che, a suo parere, non è privo di difetti: "L'alito del bimbo puzza di birra e gli dà la pizza con le acciughe alle undici del mattino" afferma nel suo sfogo con il marito. Doveroso allora ingaggiare una baby sitter, anche se gli effetti non saranno proprio quelli desiderati. Il film di Lemmon ha il pregio prima di tutto di sottolineare, in tempi non ancora sospetti, il ruolo, spesso decisivo e fondamentale, dei nonni nell'economia familiare. In questo senso il commento di nonno Kotcher sulla presenza in casa di una giovane baby sitter, definita senza mezzi termini "un'adolescente mercenaria" è piuttosto esplicito e secco: "E' gettare i soldi dalla finestra, quando ci sono io!". Peraltro ai suoi occhi il problema si raddoppia, perché bisogna stare in guardia per assicurarsi che queste sprovvedute e inadeguate ragazzine facciano correttamente e con attenzione il loro lavoro: "Chi è che sorveglierà i sorveglianti?" domanda preoccupato e perplesso al figlio, in particolar modo dopo avere visto all'opera la giovane bambinaia appena ingaggiata, piuttosto impacciata, distratta, confusa, frettolosa, poco organizzata e non certo così amorevole ed attenta alle esigenze del nipotino, come invece sa essere lui, anzi ben più abile nell'intrattenere il focoso fidanzato che nel curare il pargolo affidatole. In secondo luogo Lemmon ha il coraggio di affrontare con garbo, sensibilità, ironia ed intelligenza alcune tematiche, anche piuttosto scomode, strettamente connesse con la famiglia. Per esempio la presenza, spesso ingombrante e non facilmente gestibile, di genitori anziani in casa, con le inevitabili conseguenze e ripercussioni sul rapporto di coppia e la troppo facile soluzione di "liberarsi" del genitore, piazzandolo in un lussuoso e comodo ospizio. Spassosa questa breve parentesi, specie nella sequenza in cui il nonno viene sottoposto ad un test psicologico con le celebri tavole di Rorschach: non appena si accorge, sbirciando sui suoi appunti, che per la dottoressa è un soggetto "privo di fantasia e letterale" Kotcher si lascia andare ad un'interpretazione quanto meno originale e bizzarra dell'ultima tavola che gli viene sottoposta, lasciando di sasso la sua interlocutrice. Altro tema le gravidanze inattese che, troppe volte, ragazze ingenue, immature, impreparate e superficiali sono costrette ad affrontare, anche da sole, perché i ragazzi di fronte alle responsabilità preferiscono scappare lasciando a loro la patata bollente. Il bel personaggio di Erika, interpretato con efficace naturalezza e brillante spontaneità dall'inedita Deborah Winters ritiene che del resto "Certe volte non si può pensare alle precauzioni: se no diventa qualcosa di programmatico e non spontaneo", ma così facendo si trova improvvisamente senza lavoro e senza l'appoggio né del fidanzato né tanto meno della famiglia che addirittura le suggerisce di abortire. A quel punto meglio affidare il figlio ad un'altra famiglia, come penserà ad un certo punto della sua gravidanza, anche se Kotcher è ben sicuro che la ragazza non arriverà mai a compiere una scelta così radicale e comunica questa sua sensazione persino ad uno sconosciuto incrociato casualmente su una panchina. Proprio Kotcher, dunque, che prima aveva così pesantemente criticato Erika, sentendosi forse in parte responsabile per il suo licenziamento. si prende cura di lei e le fa da servizievole padre. La ospita in casa sua, la porta dal ginecologo, preoccupandosi del fatto che non sia troppo grassa, partecipa al corso di preparazione al parto, disquisendo con il medico sul perché si usi sempre il termine grembo e non "quello scientificamente esatto di utero", costruisce un cancelletto e si impegna, non senza fatica, nel montaggio del lettino a rotelle per il nascituro, ma soprattutto aiuta Erika a partorire nel bagno di una stazione di servizio. Soddisfatto di questa sua nuova vita il buon Joe - cui la nuora, pentita, chiede di tornare a vivere sotto il suo tetto, decide di starsene per proprio conto: "Mi farò vivo per Natale, Pasqua e altre feste assortite" è la sua convinta affermazione. Una commedia amabile e scorrevole, spigliata e rilassante, arguta e moderna, leggera ma non inconsistente, veloce senza essere frettolosa, che si segnala per le gentilezza del tocco, l'umorismo sagace e pungente, la morale edificante: valorizziamo i nostri anziani, le loro inesauribili risorse ed esperienze, ne trarremo di certo grande ed utile beneficio. Attori affiatati, ma per Matthau dominare la scena e conquistare il cuore dello spettatore è davvero un gioco da ragazzini. Lemmon rinuncia volutamente alla proverbiale cattiveria del suo maestro Billy Wilder, a volte eccede nello zucchero (la lacrimevole ma comunque gustosa lettera finale di Erika) o nel romanticismo (i rapidi flashback relativi a Kotch e alla sua adorata moglie, morta prematuramente per tisi) e si perde in parentesi non essenziali (la polemica iniziale di una madre che si lamenta per un'innocua e simpatica pacca sul sedere data da Kotcher alla sua bambina). Realizza però almeno una sequenza davvero molto ispirata (quella in cui Erika, già mamma, si guarda allo specchio e si vede sposa), e un'altra assai comica (il parto improvvisato), azzecca gag spiritose (su tutte quella dell'asse del water che puntualmente Kotch lascia sollevato, fatto di cui si lamentano tanto la nuora, quanto Erika, a vuoto visto che poi riprenderà a fare di testa sua, ma anche quella in cui Kotch polemizza con una bambina al supermercato, perché il cioccolato non è più conservato nella carta stagnola, o quella in cui corregge gli errori ortografici nei messaggi che Erika gli lascia sulla lavagnetta in salotto, oltre a quella già citata del corso pre-parto e del test psicologico), e confeziona nel complesso un film meno prevedibile (vedi l'indovinato e sorprendente finale) e buonista (in fondo Kotch è un bravo nonno, ma ha anche il suo bel caratterino) di quanto si voglia credere. E a distanza di anni "Kotch" si conferma ancora oggi come una delle favole più toccanti, delicate, sincere e riuscite sulla straordinaria bellezza e frenetica ricchezza della terza età, se vissuta con autentico entusiasmo e gioiosa consapevolezza delle proprie capacità, e non con fiacca, lamentosa, vuota e spesso fine a se stessa rassegnazione. Per noi invece che stiamo accanto ai nostri anziani invece un valido suggerimento ed un caloroso invito a non trascurarli, liquidarli, escluderli o ignorarli con facile approssimazione od egoistica supponenza, e a non sottovalutarne le enormi potenzialità con la consueta maldestra arroganza o la solita presunta superiorità. A volte basterebbe un piccolo gesto di riconoscenza, un apprezzamento nei loro confronti non richiesto ed inatteso, una manifestazione d'affetto o la dimostrazione spontanea della fiducia che si nutre in loro per farli sentire più vivi e preziosi e per rendere noi stessi più completi, maturi, realizzati e forse anche più felici. Per una commedia di puro intrattenimento non è certo poco: a confronto poi con i film dello stesso genere che vengono prodotti oggi a Hollywood acquista ancora più valore e significato. Bel successo di pubblico negli States; nomination agli Oscar per Walter Matthau come miglior attore protagonista (vittoria al Gene Hackman de "Il braccio violento della legge"), per il miglior montaggio, suono e canzone; nomination ai Golden Globes per il miglior film e attore (vittoria a "Il violinista sul tetto" di Norman Jewison ed al suo protagonista Topol), nonché per la migliore sceneggiatura (vittoria a Paddy Chayefsky per "Anche i dottori ce l'hanno" di Arthur Hill - in quell'anno i titolisti italiani erano evidentemente scatenati). Premio infine a John Paxton per la migliore sceneggiatura da parte della "Writers Guild of America". Cameo di Jack Lemmon nei panni di un passeggero addormentato sull'autobus. Felicia Farr che interpreta nei flashback la moglie di Kotcher, nella realtà era sposata proprio con il regista Jack Lemmon. Curioso infine notare come tra Matthau e Charles Aidman che nella finzione interpreta il figlio Gerald, in realtà c'erano solo cinque anni di differenza, essendo il primo del 1920 il secondo del 1925.
Voto: 7+
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