Regia di Christian Vincent vedi scheda film
72° FESTIVAL DI VENEZIA - CONCORSO
Dal regista del semiserio “La cuoca del presidente”, Christian Vincent, L'hermine, ovvero l'ermellino, termine che indica la parte impellicciata della toga da Presidente della Corte d'Assise del tribunale parigino, è una sorta di “La parola ai giurati” di Lumet, riveduto ed aggiornato ad oggi, ed in chiave più leggera di commedia.
Durante un processo in cui viene giudicato un giovane padre, presunto assassino brutale della figlioletta di nove mesi, viene convocata ed istruita una giuria popolare che si appresti a coadiuvare l'operato di un famoso giudice, soprannomianto “due cifre” per la lunghezza delle pene che egli è solito infliggere ai condannati che passano sotto il suo giudizio.
Quando l'uomo si accorge che, tra i membri, figura pure una donna medico che lo curò in occasione di un brutto incidente d'auto e di cui egli si innamorò durante la lunga degenza ospedaliera, ecco che il giudice tenta, nei tre giorni che compongono il processo, di rientrare in contatto con la donna, facendole spudoratamente la corte.
Raccontato così, L'hermine pare una commedia leggera e frivola come tantissime altre: in realtà il film, pur restando nei territori del genere, il film si confronta, con una certa abilità di scrittura e qualche felice intuizione di sceneggiatura, con una realtà quotidiana che non fa sconti a nessuno quanto a crudezza di avvenimenti e drammaticità dei reati che occupano la vita e le ore in tribunale.
Ma lo scopo del film è anzitutto quello di analizzare e studiare a fondo una serie di solitudini che appaiono emblematiche: quella del presidente, innanzi tutto, abbandonato dalla moglie e costretto a vivere segretamente in un anonimo hotel, a curarsi come può anche solo per un banale raffreddore, mentre ci fa tenerezza, in particolare, vederlo accorrere nella sua regale ex dimora, posta in vendita dall'ex consorte, a raccattarsi scampoli di vestiti e qualche mela dell'orto, da mangiare in solitudine durante le tristi e solitarie sere d'inverno.
Ma anche gran parte dei membri della giuria popolare sono soli o soffrono di solitudine: il medico per primo, accetta l'invito del suo corteggiatore perché è una donna sola con una figlia già grande che non ha più bisogno di dipendere da un genitore divorziato e troppo impegnato nella sua professione.
L'hermine è un film ben congegnato e splendidamente interpretato: Fabrice Luchini è un mostro d'attore, e non lo abbiamo imparato certo grazie a questo film; pure il bel volto di Sidse Babett Knudsen (The Duke of Burgundy) è importante per la riuscita e la schiettezza della pellicola, così come pure i caratteristi che completano il cast appaiono naturali e convincenti, ed il film, forse un po' fuori luogo nella categoria Concorso, si segnala senza dubbio per concorrere meritatamente alla assegnazione della ambita Coppa Volpi per il migliore attore allo stesso Luchini, meraviglioso nel tratteggiare un personaggio di cui tutti diffidano, ma in realtà umanissimo e solitario, padrone solo nell'esercizio della propria carica, ma ultimo tra gli ultimi, quasi emarginato, nei ritagli di tempo che lo vedono lontano dal tribunale, intento ad affrontare ciò che resta della vita privata.
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